“Giovani sognatori, del nostro territorio” la storia di Alberto Cenedese

Arrivando nel piccolo spazio verde che circonda la casa, sento già la sua voce al di là delle finestre chiuse, mentre il gorgoglìo del corso d’acqua poco distante fa da sottofondo. Tra poco ho in programma una chiacchierata con Alberto Cenedese (classe 1980), nel centro storico di Solighetto.

Ho deciso di ascoltare la sua storia perché la forza della sua passione lo ha arricchito di molte nuove conoscenze, di preziose esperienze condivise. Dopo aver concluso la
formazione presso l’Istituto d’Arte di Vittorio Veneto, negli anni successivi Alberto ha seguito corsi culturali diversi, approdando allo studio del violoncello, del pianoforte e infine del canto lirico. Tra alcuni dei ruoli come baritono, ricoperti in opere mozartiane a livello locale, ricordiamo il Conte e Figaro ne “Le nozze di Figaro” e Guglielmo ne “Così fan tutte”.

Ci accomodiamo per iniziare. Nella stanza accanto, la superficie di un mezzacoda riflette la luce del mattino.

Alberto, con tuo fratello svolgi il lavoro di metalmeccanico nella vostra azienda di famiglia, la Tecnobed s.n.c. di Pieve di Soligo, che esiste da 40 anni e produce meccanismi in ferro per letti motorizzati. Come mi raccontavi, sono ormai 23 anni che lavori in questa azienda.

Vorrei chiederti ora com’è nata questa passione della musica: c’è stato un punto di svolta o è stato un processo di conoscenza distribuito nel tempo?

Sono una persona molto curiosa, mi piace frequentare ambienti nei quali posso apprendere qualcosa per crescere. Se devo dire cosa mi abbia affascinato all’inizio, cos’abbia dato una svolta in questa scelta di dedicarmi alla musica lirica devo nominare un album dell’opera “Tosca” interpretata da Maria Callas, un cd in regalo, ricevuto nel 2008. Mi ha stregato.

All’epoca amavo già la musica classica ma ho deciso che quel mondo era da scoprire, la bellezza delle storie raccontate nelle opere e le melodie, insieme, mi hanno convinto a volermi mettere in gioco.

Quindi hai iniziato un percorso con alcuni Maestri di canto? Ti ci dedicavi naturalmente dopo la tua giornata lavorativa…

Sì, era faticoso, però questa dedizione mi alleggeriva del peso della fatica, era un’immersione in un mondo completamente diverso, unico. Si può coltivare una vera passione portando avanti un lavoro a tempo pieno. Credo sia questione di volontà, soprattutto. Il canto inoltre mi ha dato una disciplina. Dimmi perché parli di “disciplina”.
La musica operistica è una forma d’arte che comprende tutte le altre, inoltre bisogna ricordare che essa disciplina alla consapevolezza del corpo, alla cura di noi stessi, della mente; impone equilibrio già mentre siamo alla ricerca Del suono giusto.

Si impara a cantare anche in condizioni non ideali (stanchezza, malattia, raffreddamento). Per questo “lavoro”, anche se per me è una passione, bisogna cercare di mangiare bene e di condurre una vita tranquilla, senza eccessi. La parte del corpo coinvolta che è il diaframma e (parlando senza tecnicismi) è dai muscoli che sostengono la parte addominale che bisogna trarre le emozioni. Ho imparato dai miei Maestri che ci sono metodologie per trovare il delicato equilibrio tra spazio a disposizione e pressione dell’aria. Insomma non è per niente immediato, ma molto si fa studiando un poco tutti i giorni.

L’Italia è la culla dell’opera lirica, le scuole e i conservatori sono centri di eccellenza: certamente questo punto meriterebbe un discorso molto più articolato, ma com’è recepito questo genere secondo la tua conoscenza ed esperienza diretta?

L’Italia ha e avrebbe un folto pubblico di appassionati, eppure attualmente i teatri continuano a chiudere e il mondo della lirica sembra avere perso pubblico tra i giovani ma non solo, negli ultimi anni, proprio perché viene poco promosso in generale questo ascolto.

Per tornare a fare appassionare, basterebbe ricordare che nella lirica troviamo i
sentimenti umani, le nostre più umane passioni e questo riconoscimento delle emozioni, di uno spirito comune agli esseri umani, renderebbe questo genere più vicino a tutti.

C’è una persona che ti ha segnato particolarmente, nel tuo percorso?

Sì, devo citare soprattutto il Maestro Sostituto Enza Ferrari, la cui scomparsa mi ha addolorato molto. Con lei ho curato l’espressività della voce, la gestualità, perciò studiare con lei era come essere in teatro! Enza Ferrari mi ha insegnato l’umiltà che un cantante deve sempre conservare. In questo momento, oltre che con il Maestro sostituto Paolo Polon,
sto proseguendo lo studio della tecnica vocale con la Maestra Roberta Canzian: i punti di studio sono la proiezione della voce e la vibrazione, il suo volume, la nitidezza. Tutti aspetti fondamentali per un cantante.

Stiamo parlando di corsi che durano anni, per i quali si richiede una costanza soprattutto per raggiungere e affinare le capacità vocali, oltre che per entrare in un certo circuito. Eppure questo impegno si può conciliare anche con ritmi di lavoro del tutto comuni a molte persone.

Come sai, le mie ricerche e interviste mi portano a incontrare persone che credono nei cambiamenti e al processo di autoconsapevolezza dell’individuo: mi interessa questo aspetto, legato alla capacità che tutti noi abbiamo, potenzialmente, di chiedere di più a noi stessi, ossia di provare a dedicarci veramente anche a ciò che amiamo, a ciò di cui la nostra anima davvero si nutre. Credo tu abbia a cuore questa idea.

Sì, è possibile e si deve crederci. Capire cosa ci fa sentire vivi. Insistere e crederci fino in fondo, investendo su se stessi! In qualsiasi momento della nostra vita.

(Foto: per concessione di Alberto Cenedese).
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