“È iniziata la controffensiva Ucraina, e la guerra potrebbe ora volgere verso una fase decisiva che permetterebbe di immaginare un post-conflitto”. Così Dario Fabbri, noto analista geopolitico, spesso ospite nei maggiori salotti televisivi, che ieri sera, mercoledì, al Cinema Teatro Careni ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Ucraina. Guerra totale?”. La serata si inserisce nell’ambito della rassegna “Pieve Incontra” che nei due precedenti appuntamenti (entrambi sold-out, e quello con Fabbri non è stato da meno) ha ospitato il designer e architetto Tobia Scarpa e l’ex magistrato Nicola Gratteri.
Come spiegato da Fabbri stesso nella sua introduzione, la geopolitica è una materia “trendy” in questo periodo, che il direttore della rivista “Domino” affronta tenendosi lontano da “approcci leaderistici, che si affidano solo a ciò che è visibile”, con un particolare approccio umanistico, a tratti antropologico all’analisi del conflitto, consapevole che la “guerra è una questione atavica dell’umanità”.
Dario Fabbri, in che fase si trova ora il conflitto in Ucraina?
“Siamo all’inizio della controffensiva ucraina, un momento atteso da molto tempo e che permetterà di capire quali territori l’Ucraina riuscirà a riprendersi, e a quel punto stabilire se sarà il momento di intavolare un negoziato: Kiev attende di capire fino a dove potrà spingersi prima di immaginare un post-conflitto. Potremmo essere dunque nella fase decisiva, e questa guerra ne ha avute molte di fasi decisive, ma forse questa lo è più delle altre”.
Qual è l’esito finale più verosimile di questa guerra?
“È complicato a dirsi, gli attori stessi coinvolti nel conflitto non lo sanno. Possiamo immaginare una controffensiva che veda gli Ucraini recuperare una parte del territorio perduto, ma non tutto, e a quel punto una guerra che si avviti per consunzione, e che porti ad un cessate il fuoco non per la volontà di pace espressa dalle parti, ma per una mancanza di mezzi, di forza e di sostegno dell’opinione pubblica”.
C’è una parte di opinione pubblica che si dichiara pro-Putin, come si spiega?
“Quella pro-Putin è una galassia variegata. Si passa da quelli che hanno il mito dell’uomo forte e che si sono riconosciuti nella propaganda putiniana, a quelli che invece dicono ‘a me sta antipatica l’America’, e quindi tutto ciò che non riguarda gli Stati Uniti va bene, e poi ci sono altri ancora che più o meno se ne infischiano, però danno la colpa all’Ucraina, sostenendo che se l’Ucraina non avesse resistito, dicono, la guerra non ci sarebbe stata. È una galassia composita che con grande difficoltà si mette nei panni degli altri e che vede in Putin l’incarnazione di quei valori tradizionali conservatori che intercettano una parte dell’elettorato”.
Quanto non sappiamo di questo conflitto che non passa per i canali d’informazione?
“Come tutti i conflitti anche questo è coperto dalla famosa ‘nebbia di guerra’: la propaganda è da tutte e due le parti, perché non è vero ciò che racconta Mosca, come non lo è in assoluto ciò che racconta Kiev. Non resta che intrecciare le informazioni e avvalersi dello strumentario geopolitico che dovrebbe aiutarci a distinguere fra il verosimile e l’inverosimile, fra cose che non possono essere accadute e fatti sui quali bisogna rimanere nel dubbio, almeno fino alla fine del conflitto”.
Parliamo del ruolo dell’Italia, che per ora si è limitato alla fornitura di armi, c’è la possibilità che in un futuro il nostro Paese arrivi ad uno scontro diretto sul campo?
“Non si può escludere la possibilità in assoluto. Se la guerra si mettesse davvero male per l’Ucraina, e quindi la Russia arrivasse ad occupare quasi interamente il paese, lì la NATO dovrebbe stabilire cosa fare, cioè accettare il fatto compiuto o rispondere direttamente. Ad oggi però lo scenario di uno scontro diretto dell’esercito italiano sul campo è altamente improbabile. Per il resto vediamo come si svilupperà la guerra, il sostegno dell’Italia dovrebbe rimanere quello che è stato fino adesso, quindi passare per l’applicazione delle sanzioni e l’invio di armamenti. Non siamo il maggiore fornitore, neanche lontanamente, di armi all’Ucraina, ma comunque abbiamo fatto finora la nostra parte”.
C’è chi sostiene che un’eventuale guerra a Taiwan sarebbe quasi peggio di un conflitto come quello che vediamo ora in Ucraina…
“Dovrebbe essere peggio perché lì difficilmente potrebbe esserci questa fase da remoto della guerra: gli Stati Uniti e la Cina in quel caso andrebbero in guerra direttamente. Ora gli Stati Uniti sostengono fortemente l’Ucraina, ma non sono sul campo schierati contro le truppe russe. In una guerra per Taiwan lo scontro sarebbe diretto tra la marina cinese e quella americana e già questo condurrebbe, incrociando tutte le dita e sperando che non accada mai, alla terza guerra mondiale, o almeno a qualcosa che si avvicini molto ad una terza guerra mondiale”.
Da cosa nasce il suo interesse per la geopolitica?
“Mi è sempre interessato guardare ‘nelle case’ degli altri. La geopolitica però ti spinge a fare anche qualcos’altro, quando è ben fatta, ovvero a metterti nei panni degli altri e a rovesciare il tuo sguardo sulle cose”.
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