Dopo aver gettato uno sguardo alla piazza di Pieve di Soligo, con le sue curiosità e i suoi dettagli nostalgici, (vedi articolo) Piero Gerlin ruota la bussola a Sud-Ovest e prosegue lungo località Mezzavilla di Santa Maria Maddalena, poi diventata via Capo di Villa, meglio conosciuta oggi come Via Capovilla.
“Era una via lunghissima, oltre due chilometri, e arrivava fino al confine con Sernaglia. Allora non c’era la circonvallazione, passavano tutti di lì” racconta. La strada continuava dritta fino al centro di Sernaglia, costeggiata da infiniti fili della luce, sostenuti dai pali a distanza regolare.
“C’erano talmente tanti fili sospesi che era impossibile contarli – dice Piero – l’unico modo per farlo era contare i vari coni isolanti in vetro o ceramica lungo il palo. E pensare che negli anni ’60 c’era persino una figura addetta al loro monitoraggio, si chiamava “guardiafili””.
Proprio al confine con Sernaglia, un tempo c’era una rotonda dove si potevano girare i carri con i buoi: oggi ne rimane solo mezza.
Tirando indietro le lancette dell’orologio e concentrandoci sul lato sinistro partendo dalla piazza, via Capovilla iniziava subito con la pasticceria e gelateria di Mondo Bisson, i cui gelati, i pievigini di buona memoria lo ricorderanno bene, costavano 10 lire una pallina, 15 lire due palline. Era famoso anche per i suoi insuperabili cannoncini alla crema grandi come un panino: 25 lire di puro gusto.
Proprio attaccata c’era la ferramenta e casalinghi dei Bernardi e confinante si trovava la bottega di alimentari e tabacchino di Genio. In paese tutti lo conoscevano per la sua estrema rapidità: “Era talmente veloce che riusciva a servire due clienti alla volta perché mentre affettava il prosciutto serviva anche le sigarette – ricorda Piero – A quei tempi si vendevano ancora sfuse, volendo. Un pacchetto di Alfa costava 140 lire”.
Chi non fumava le sigarette poteva comprare i sigari: “Genio ne prendeva 5 o 6 e te li faceva annusare e rigirare tra le mani. Quando avevi scelto quelli che volevi lui tirava fuori un attrezzo particolare, un trinciasigari con la base di legno e il pomello di ottone, e da uno ne ricavava 2 più corti, pronti da fumare”.
Subito dopo ci si imbatteva nella Colonna Verde, il bar ristorante dove si poteva anche ballare. La chiamavano anche Pergola, perché dietro aveva una copertura di glicine che faceva da tetto, addobbata con lampade colorate.
Piero Gerlin continua il percorso di via Capovilla: “Oltre la Colonna Verde c’erano un barbiere e il bar trattoria All’Alpino della Irma e Angelo, famoso per le trippe. Dietro si apriva un grande campo di bocce dove si disputavano gare anche nazionali”.
Sempre nello stesso stabile ci si imbatteva in altri due negozi: una fioreria e una macelleria, quest’ultima di Glati, chiamato Zaratín perché era profugo da Zara. “Appena più in là ecco il laboratorio e negozio di Bepi Pavan: lui ha venduto le prime televisioni a Pieve di Soligo ma soprattutto costruiva radio: si faceva fare la parte esterna dai falegnami e poi lo completava con tutte le valvole (grandi come lampadine!) e la parte elettrica”.
Cento metri dopo, all’ex sede della Lega, c’era un’attività che oggi pare incredibile ma che era comunissima negli anni ’60: un incubatoio di pulcini. Bisogna ricordare che in quel periodo c’era il boom di allevamenti di polli, tutti ne possedevano e ne allevavano, l’azienda Maia ne è la prova concreta, fondata proprio a cavallo di quegli anni.
Perciò rientrava nell’ordine delle cose la presenza di un incubatoio dove far crescere grandi numeri di pulcini da smistare poi in tutto il territorio.
All’incrocio con via Casoni si trovava il piccolo frutta e verdura dei Contessotto e sulla strettoia si era stanziato Rino Milanese, uno dei primi idraulici nella zona, con la sua officina idraulica.Continuando a camminare sul lato sinistro di via Capovilla la visione non è cambiata: anche negli anni ’60 il ristorante la Colomba presidiava la zona.
Era appena stata fondata dallo storico Bruno e il suo futuro, come sappiamo, è stato luminoso. All’angolo del ristorante si affacciava in via Mure la ricevitoria del Lotto di Valentin Bottarel: “Quando si giocava veniva rilasciata una strisciolina di carta con scritti i numeri giocati, altro che ricevitorie elettroniche” commenta Piero.
Appena 50 metri più avanti chi aveva orologi e sveglie da riparare lo conosceva bene, si trovava l’orologiaio Nani dea Giovanna: “Quando entravi trovavi sulla sinistra una parete di legno con una finestrella: lui era sempre lì e gli parlavi da quella feritoia” dice.
L’orologiaio era in sedia a rotelle e la sua particolarità era la lente che aveva perennemente all’occhio: era il tipico monocolo del mestiere e pareva fosse ormai parte integrante del suo viso.
Davanti all’incrocio con l’attuale circonvallazione c’era l’osteria e tabacchino da Montagnera con il suo classico gioco di bocce sul retro. Il locale oggi si trova appena qualche metro più avanti, all’angolo della strada, memoria storica del paese.
Proseguendo, ecco i grandi mobilifici Piave e Battistella, per poi arrivare, dopo appezzamenti di terra ormai scomparsi e poche abitazioni, al nuovissimo Holiday Bar, sostituito oggi dal più moderno Markantò.
Poi, la campagna: via Capovilla è ancora lunga ma la si percorre con poche soste, il ritmo dei commercianti, degli avventori di bar, di sale da ballo, fruttivendoli ed elettricisti cede il passo a quello più regolare e cadenzato dei carri diretti o di ritorno dal comune di Sernaglia della Battaglia, lì gli occhi dei ragazzini degli anni ’60 tornano a vedere fino all’orizzonte, solo campi e quieta vita contadina.
(Foto: Per concessione di Piero Gerlin).
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