Il grande numero di cinghiali che in quest’ultimo periodo si sta riversando nelle nostre campagne è argomento ben noto agli agricoltori; sempre più frequentemente infatti il mondo agricolo si trova a fare la conta di ingenti danni causati da questi grandi ungulati, tanto che a luglio Coldiretti aveva organizzato una manifestazione nazionale proprio per chiedere supporto allo Stato e cercare un aiuto economico per le perdite degli agricoltori.
A commentare la situazione e studiare una soluzione è il biologo Renato Semenzato, attivo da anni nella gestione di problematiche inerenti l’ambiente e in particolare della fauna selvatica: “Quello che ci serve è conoscere i meccanismi biologici utili per ridurre il problema: i nostri agricoltori, da sempre, hanno dovuto fare i conti con i cinghiali, ma oggi stiamo perdendo il controllo sui loro numeri e incrementi”.
“Questo avviene per due semplici motivi: il primo è che trattiamo il cinghiale con un approccio sbagliato, ovvero non teniamo conto delle sue particolari caratteristiche riproduttive. Questo comporta una lettura sbagliata della sua biologia e dei metodi per contenerne la crescita”.
Semenzato spiega infatti che importanti studi pluriennali sulla dinamica di popolazione hanno dimostrato che per ridurre sensibilmente il numero di questa specie è fondamentale una strategia specifica in grado di mostrare risultati efficienti; al contrario di quanto avviene oggi, dove la gestione dei danni è concentrata su una generica quota di abbattimenti che prosegue quasi ininterrottamente, come avviene nei nostri territori tra periodi di caccia regolari e deroghe, di fatto non determinando alcuna riduzione significativa della specie.
“Il secondo errore che facciamo è quello di far prevalere un approccio emotivo, determinato dal continuo manifestarsi dei danni, al posto di una programmazione delle attività di controllo fondate sul “metodo scientifico” continua il biologo.
Secondo Semenzato, considerando l’entità dei danni a livello nazionale, stimata da Coldiretti in 200 milioni di euro, dovrebbe spingere l’intera categoria degli agricoltori e le istituzioni ad analizzare la problematica con strumenti scientifici molto più efficaci di quelli attuali per poter ottenere risultati a lungo termine e non un effetto placebo come spesso succede.
Il metodo scientifico è indubbiamente complesso ma è l’unico che ci può spiegare l’incremento eccezionale di questo suide. “Oltretutto non esistono tradizioni culturali locali legate alla presenza del cinghiale utili ad approcciarsi correttamente a questa problematica e spesso si trasferiscono erroneamente conoscenze acquisite negli animali domestici su quelli selvatici. Quindi ci si trova spesso di fronte a un gap conoscitivo che crea incomprensioni e sconforta i produttori agricoli” commenta.
Per risolvere concretamente il problema è necessario avere un importante numero di informazioni basilari che attualmente non sono state messe a fuoco come per esempio dati bruti sulla natalità, sulla mortalità, sulla distribuzione e un minimo di conoscenza sugli spostamenti, in sintesi quella che in biologia viene chiamata dinamica di popolazione.
Spesso invece vengono investite grandi somme di denaro su obbiettivi poco utili per la gestione dei danni, proprio per una lettura biologica errata dei principali parametri di popolazione.
“Con questa premessa e con questi dati alla mano potremmo davvero ridurre il numero dei danni, dando così una concreta risposta agli agricoltori che nonostante l’impegno e gli abbattimenti quasi senza soluzione di continuità vedono una costante crescita dei danni” conclude.
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