Il tempo passa e i dettagli si confondono ma la targa affissa in alto a destra non lascia dubbi: Via Garibaldi a Pieve di Soligo, in realtà, è un Viale, e negli anni ’60 era un viale parecchio… profumato.
L’abitudine, e forse la fretta nei discorsi tra i cittadini, l’hanno trasformato nella più comune “via” ma negli anni ‘60 nessuno lo chiamava in un altro modo: esisteva solo Viale Garibaldi.
Le attività iniziavano già dal primo fabbricato sulla sinistra, con la rivendita della Latteria Soligo. Oggi si può vedere un esercizio unico con due vetrine ma sessant’anni fa erano due negozietti separati: di fianco alla rivendita infatti c’era il negozio di ferramenta e casalinghi di Toni Gerlin.


Nella palazzina adiacente si era stabilito Giulio Collodel, con il suo frutta e verdura, attaccato all’autoscuola Vettorazzo che era nata proprio ai primissimi anni ‘60. Continuando per 50 metri ci si imbatteva nel cortile dell’osteria la Baracchetta, che disponeva anche dello spazio per giocare a bocce.
“Si chiamava così – ricorda Piero Gerlin – perché era un residuo di una vecchia baracca della prima Guerra Mondiale”. Era conosciuta dagli anziani anche come “osteria dal Frate” e la sua storia, dice Piero, era nota a tutti: “Il titolare, Antonio Spina, era stato per dieci anni frate laico ma poi ha lasciato i voti e si è sposato con Maria Munari con la quale ha avuto 11 figli”.
Toni Spina era il suo primogenito, e suo figlio, Gianni Spina (quello delle bici) era suo nipote. Il fotografo e omonimo Gianni Spina invece era l’ultimo dei suoi figli.
Su qualche tavolo dell’osteria c’erano delle coperte di origine militare, quelle di una volta, grigie con due fasce scure: erano piegate e bene ordinate e servivano ai clienti per giocare a Morra. “Le usavano per proteggere le nocche perché sbattevano forte le mani sul tavolo” ride Piero, che ricorda che al tempo il gioco della Morra non era da prendere alla leggera: era vietato dalla legge.
Sulle pareti dell’osteria c’erano due cartelli con la scritta “Vietato bestemmiare” e sempre lì gli intenditori sapevano che potevano degustare anche il vino speciale del Perusai, proveniente da Collato.
Davanti al cortile c’era ancora uno Spina: Nino, un altro figlio del frate, che aveva un’attività di vendita e riparazione di biciclette. “Nino è stato il primo a fare la duplicazione delle chiavi” sottolinea Piero.
Subito dopo c’era il mulino dei Toffolon, dove si producevano farine e mangimi, mentre oltre alla strada si trovava il grande consorzio agrario, sostituito oggi da un condominio, dove si rifornivano tutti i contadini.
La strada continuava poi dritta fino alle scuole professionali all’incrocio con via Nubie. Dal consorzio fino all’incrocio, la via ha una storia tutta particolare: “Il N.H. (nubiluomo) Ruggero Vendri – racconta Piero – era padrone dei terreni a destra e sinistra della via e aveva concesso la vendita di quei lotti con la clausola che al loro posto sorgesse una zona residenziale, senza alcun negozio”.
Ha avuto il merito, se vogliamo, di urbanizzare l’area e dato che fino a quel momento lì c’erano solo campi, i pievigini hanno riconosciuto il nuovo tratto come “Strada Nova”, come molti la chiamano ancora oggi.
A metà anni ‘60 poco oltre le scuole professionali sono state inaugurate anche le nuove scuole medie: fino a quel momento i ragazzi le frequentavano al Careni, nei pomeriggi.


Risalendo viale Garibaldi e ripartendo da destra, dietro il vecchio Caffè Commercio si trova il laboratorio di pasticceria di Luigi Gerlin: il profumo dei suoi dolci si spargeva in tutta l’area, ingolosendo senza pietà chiunque passasse nelle vicinanze e tentando anche i più rigorosi.
Proprio attaccato c’era un barbiere e poco oltre il calzolaio Ieto Dini, che era appena tornato da emigrante dall’Argentina. Sopra la sua bottega aveva appena aperto lo studio dentistico del dottor Costa.
Proseguendo sulla destra si entra in una piccola stradina: a sinistra c’era la falegnameria di Innocente Gerlin, maestro di quasi tutti i mobilieri del Quartier del Piave, che avevano studiato come apprendisti alla scuola di disegno.
Lì attaccato si era installato Schiratti con il suo laboratorio enochimico mentre in fondo alla via i pievigini ricorderanno l’entrata della cantina Vendri, al suo posto ancora oggi. Ritorniamo ora al viale principale, con il laboratorio dell’idraulico Giovanni Venier, esattamente al posto dell’Umana oggi.
Oltre l’idraulico le attività si interrompono: con la vendita dei lotti di Vendri, nel 1950, i campi si diradano e sorgono le prime nuove villette di gente facoltosa. Da quel momento non sarà così semplice vedere lontano, fino a scorgere le scuole professionali: i tetti delle villette creeranno un paesaggio nuovo in quel di Pieve, uno scenario destinato ad infittirsi e a rendere le scuole, considerate prima un punto di riferimento, uno tra i tanti elementi che caratterizzano la fine di Viale Garibaldi o meglio, la “strada nova”.
(Foto: Per concessione di Piero Gerlin e Qdpnews.it).
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