La “gara libera” del Tiro alla fune nacque ufficialmente nel 1983. L’ideazione fu merito soprattutto dell’allora consigliere della Pro Loco “Pierino” Gerlin, pievesano DOC.
Si trattava di risollevare un po’ le sorti della Pro Loco, che stava attraversando un periodo di crisi dopo gli anni gloriosi della sua origine nel 1956 con la presidenza del compianto fondatore Ettore Baratto.
La Pro Loco era stata da poco “rifondata”. Il sindaco Piero Furlan aveva convocato alcune persone disponibili al Careni e, seduta stante, furono eletti i consiglieri, passati da 7 a 20, e il presidente nella persona di Massimo Foltran. Fu redatto anche lo statuto, convalidato ufficialmente dal notaio Bevilacqua.
L’idea del tiro alla fune maturò durante una notte particolare: del resto, si sa, la notte “porta consiglio”. Pierino se ne stava in una 127 verde con un altro consigliere a far da guardia al chiosco della Pro Loco, carico di provviste, per scoraggiare eventuali malintenzionati. Il chiosco allora era all’aperto, in Piazza.
La notte era lunga, in attesa delle 5 del mattino quando avrebbe provveduto alla sua custodia la guardia notturna.
Per risollevare la Pro Loco, pensò Pierino, oltre all’iniziativa dello Spiedo gigante, perché non proporre una manifestazione che ricordasse in qualche modo una pagina di storia della Pieve? Per esempio la rivalità che aveva caratterizzato dal medioevo fin quasi all’età moderna le due parti del paese, quella del Contà e quella del Trevisan, unite sotto un’unica parrocchia ma profondamente divise politicamente essendo l’una sotto la Contea di Cison e l’altra sotto Treviso. Rivalità sfociata per secoli in risse, diatribe, reciproche accuse, perfino delitti e omicidi.
Del resto, rifletteva Piero Gerlin, una qualche rivalità era rimasta tra le due parti del paese se quando da piccoli, negli anni ’50-’60, si andava a fare il bagno nel Soligo giù alle “Cune” sotto la vecchia latteria o nel “bojon” della Case operaie al confine con Solighetto, i ragazzi dell’altra sponda venivano spesso accolti a sassate, con epiteti non proprio gentili o, peggio ancora, a frecciate.
Ne seppe qualcosa un ragazzino che una volta fu colpito da una freccia che era una ”costa” d’ombrello.
Gerlin pensò ad un tiro alla fune. La supremazia di una parte sull’altra sarebbe stata decisa non dalla forza delle armi ma da quella dei muscoli. Le due parti si sarebbero sfidate “a singolar tenzone”, sul far della sera, durante i tradizionali festeggiamenti di inizio ottobre per lo Spiedo Gigante. La gara sarebbe avvenuta sul ponte centrale, che storicamente ricordava quei tragici tempi di una volta ed era stato definito nei documenti veneziani il ponte “contenzioso”.
La proposta fu accolta con entusiasmo dal nuovo presidente Franceschet, purché “a costo zero”, data la penuria dei mezzi a disposizione.
Detto fatto, per ognuna delle due parti furono scelti i Comitati responsabili di “arruolare” i baldi giovani per la gara. Per il Trevisan figuravano Guido Fogheto (Guido Collet), Bepi Peséta (Giuseppe Lucchetta) e Memi (Domenico Lucchetta). Per il Contà: Carmèo (Carmelo Barisan), Gianni Zanco e Paolo De Nicolo.
Gerlin procurò i 30 metri di corda necessari presso la bancarella che al mercato vendeva cordami sulla curva di Via Schiratti. Poi, indirizzato dalla consigliera Emilietta Schiratti, provvide uno stendardo, il “Palio”, dalla ditta De Nadai di Cappella Maggiore, che trattava strumenti pubblicitari. Poi acquistò dalla bottega degli scampoli i tessuti per formare la “bandiera” a scacchi bianchi e neri, come nella Formula 1, che determinava la vittoria ufficiale di una delle due squadre.
Infine abbozzò un regolamento, che nel corso degli anni subì qualche modifica.
Questo prevedeva, tra l’altro, che le squadre non potevano superare il peso complessivo di 10 quintali ciascuna, lasciando libero il numero dei componenti.
E così, in quell’autunno del 1983, fu disputato il primo Tiro alla fune, col concorso di una marea di gente del Contà e del Trevisan a fare tifo. Una folla strabocchevole, nonostante fosse di lunedì, con la gente perfino in piedi sopra i parapetti del ponte.
Allora le squadre non erano dotate delle attuali divise, che furono introdotte soltanto alla fine degli anni ’80.
I primi tre giudici di gara furono Ido Zago, Luciano Bressan e Guido Nadalin.
In linea con la tradizionale rivalità, in questi 40 anni si è assistito a infinite contestazioni fra le due squadre. Già nella prima edizione si venne alle mani. Le rare foto rimaste documentano inequivocabilmente volti accesi e atteggiati a smorfie, la cui espressione non lascia dubbi.
Veniva contestata la bilancia ufficiale, il cui peso risultava sempre maggiore rispetto a quello riscontrato a casa. E così alcuni, perché non si sforassero i citati 10 quintali, dovevano in fretta liberarsi del loro deposito di pipì.
Ogni diceria, magari insinuata ad arte, finiva per provocare diatribe e disappunti. In una edizione di fine anni Ottanta fu notato un furgone davanti al tabacchino sulla sinistra Soligo. Nella Formula 1 era stato introdotto allora l’espediente di “riscaldare le gomme”. Si sparse la voce che il furgone apparteneva a quelli del Contà e conteneva gli strumenti per “riscaldare” i loro scarponi. Ovviamente non era vero ma ciò bastò ad attizzare polemiche e a mettere a rischio la partecipazione stessa di quelli del Trevisan.
Altro motivo del contendere era la pendenza del terreno sul ponte. Effettivamente si riscontra una trentina di cm tra i due capi del ponte. Poiché allora non si faceva il “cambio di campo” tra le due squadre, ciò poteva favorire quelli del Contà.
Ad ovviare all’inconveniente ci pensò nell’edizione del 1989 il presidente Franceschet che si rivolse alla Edilscavi di Soligo e ottenne, per la modesta cifra di un milione di Lire, 500 Euro di oggi, di livellare il terreno a tempi di record. Quel mattino, alle cinque, con un via vai frenetico, il ponte fu “livellato”. Prima la sabbia, poi il catrame, infine il rullo compressore. La sera, dopo la gara, altrettanta frenesia per ripristinare la situazione precedente, riportando il terreno alla sua naturale pendenza.
Infine una curiosità. Le due riserve di ogni squadra erano costituite in genere da due graziose signorine. Per via delle quote rosa, si dirà. Nient’affatto. Erano aperture sociali ancora molto al di là da venire. Il fatto era che, concorrendo esse al raggiungimento dei fatidici 10 quintali e non partecipando di fatto al gioco, in quanto riserve, col loro esile fisico intaccavano il meno possibile il peso complessivo della squadra, il che poteva costituire un qualche vantaggio.
(Foto: per gentile concessione di Enrico Dall’Anese).
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