Per il gastronomo e ristoratore pievigino Massimo Foltran lo spiedo è sinonimo di ricordi d’infanzia, di tradizione e convivialità ma anche di disciplina. Per preparare un eccellente spiedo d’Alta Marca, infatti, vi sono alcune “regole auree” da rispettare e da tramandare alla nuova generazione di spiedisti.
“Cosa mi serve e cosa devo fare per cucinare uno spiedo?” Sono le domande a cui Foltran risponde con minuzia dei particolari nel suo “Manuale dello spiedo” (De Bastiani editore) realizzato in collaborazione con l’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca (di cui fu uno dei fondatori) presentato giovedì sera al Fondaco del Gusto di Pieve di Soligo.
Negli ultimi vent’anni sulla ricetta simbolo delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene sono stati pubblicati innumerevoli libri focalizzati perlopiù sull’origine e la storia di questo antico metodo di cottura, o sulla celebrazione di uno o più protagonisti nell’arte dello spiedo. Quello che mancava secondo Foltran, era proprio un “manuale”, una guida tecnica alla preparazione dello spiedo.
“Prima di approcciarsi allo spiedo bisogna fare pace con il tempo – sottolinea Foltran – almeno sei ore di preparazione vanno messe in conto. Fare lo spiedo richiedere amore e pazienza, non è un caso che sia associato ai giorni di festa e alle grandi occasioni quando si ha tempo per dedicarsi al girarrosto e accompagnare la preparazione a qualche ‘ombreta’”
“Lo spiedo che siamo abituati a mangiare oggi – ci tiene precisare l’autore del manuale – non è quello che si mangiava 50-60 anni fa. Quello proposto nelle case dei contadini sulle nostre colline si faceva con gli uccellini e gli animali da cortile e non con il maiale come oggi. Un tempo, infatti, il maiale serviva per fare sopresse, salami, ossocollo e assicurare sostentamento alla famiglia per tutto l’anno. Poi dopo la guerra, con apertura delle prime macellerie e la diffusione degli allevamenti, è cambiata la composizione dello spiedo. Oggi quello classico d’Alta Marca prevede pollo, costicine di maiale, ossocollo, lardo e salvia”.
Il manuale di Massimo Foltran sintetizza decenni di studio ed esperienza ed è nato grazie al contributo di Graziano Lazzarotto che si è occupato del coordinamento del progetto e della cura dei testi. “Oltre al tempo, l’elemento chiave di un buono spiedo è la qualità della carne – prosegue l’autore – che deve essere ben frollata e a temperatura ambiente, non da frigo”.
“Per insaporirla nel modo giusto la salatura va fatta nelle ultime due ore di cottura, non prima, e, al contrario di quanto facevano i nostri avi, penso anche a mio padre, non va unta in continuazione con l’olio della golosa. Uno spiedo ben predisposto si unge da sé con il movimento circolare del girarrosto. Se è vero che una volta era la prassi, penso alla tecnica del precòt (operazione che consiste nel far cadere gocce di lardo infuocato, da un cartoccio di carta paglia o dal pillotto che contiene il lardo bollente da far colare sull’arrosto), è un’usanza folcloristica da evitare che aggiunge solo grassi in eccesso”.
“Lo spiedo perfetto richiede anche un fuoco preparato a regola d’arte. Bisogna valutare dove e con cosa lo si prepara, tenendo conto del tipo di legna che si sceglie e delle caratteristiche del camino, dal tipo di mattoni all’inclinazione della cappa che sarà più o meno vicina alla carne conducendo quantità diverse di calore: in linea generale, come riporto nel manuale, lo spiedo va cotto a fiamma bassa a temperatura costante che va dai 40 ai 45 gradi”.
Una nuova generazione di spiedisti
Quando abbiamo fondato l’Accademia in giro non c’erano tanti spiedisti – racconta Foltran – Lo spiedo si faceva nelle case contadine o lo preparavano gli Alpini, non c’erano delle figure ‘specializzate’. Oggi, e qui l’Accademia dello spiedo d’Alta Marca ha dato un contributo fondamentale, lo spiedista può dirsi tale se ha accumulato un certo baglio di studio ed esperienza ‘sul campo’, e fa piacere vedere come molti giovani si stiano avvicinando, tramite i corsi organizzati dall’Accademia, all’arte dello spiedo. Ne vediamo da tutta la Provincia, ma alcuni vengono anche da fuori per imparare”.
Dulcis in fundo, il decalogo per degustare e valutare la qualità di uno spiedo
Il manuale redatto da Massimo Foltran, arricchito da numerosi termini dialettali che definiscono le varie tecniche e gli strumenti usati per la preparazione dello spiedo, contiene anche una scheda che guida alla degustazione di questa icona della tradizione gastronomica trevigiana.
“Lo spiedo è un’arte sempre più raffinata e dunque anche una volta seduti a tavola ci sono delle buone prassi da seguire per valutarne la qualità – sottolinea – Si parte dall’analisi visiva relativa alla disposizione dei vari pezzi di carne e dai colori che compongono il piatto (anche l’occhio vuole la sua parte), ma da valutare sono anche l’ordine e la pulizia del fuoco. Si passa poi alla degustazione vera e propria: l’equilibrio fra morbidezza e croccantezza, l’uso delle erbe aromatiche e la scelta del contorno. L’Accademia da ricetta prevede erbe cotte, radicchio e fagioli. La polenta da usare dovrebbe essere bianca ma spesso, e qui chiudo un occhio, alle sagre si usa quella gialla facendo uno strappo alla regola”.
“Lo spiedo è si rispetto della tradizione e tecnica – conclude Foltran – ma non bisogna mai dimenticare l’obiettivo ultimo che muove il bravo spiedista ovvero il fare felici i propri commensali mettendo prima di tutto passione e spirito conviviale. Gli errori? Sono sacrosanti anche nella preparazione dello spiedo: d’altronde, come in tutte le cose della vita, è solo sbagliando che s’impara”.
(Foto: Massimo Foltran – archivio Qdpnews.it).
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