La sua agenda è sempre più fitta di impegni, ma ciò non ha impedito a suor Noretta Zecchinon, dai primi di agosto nuova Superiora generale dell’ordine delle Mantellate (qui l’articolo), di fare ritorno, almeno per alcuni giorni, nella sua terra d’origine.
Dopo la nomina, suor Noretta ha avviato un “tour” per visitare alcune comunità della zona, con tappa obbligata a Sernaglia della Battaglia, suo paese d’origine, dove si trova da venerdì scorso 27 agosto accolta tra le religiose delle Mantellate che guidano da molto tempo la scuola dell’infanzia “Amadio Gasparotto” di via Roma. Sabato 4 settembre partirà per Mestre e nei giorni successivi visiterà l’Ospedale Villa Salus, nosocomio gestito proprio dalle Serve di Maria, la comunità Madre Agnese Andreani e quella del San Camillo del Lido di Venezia. Giovedì 9 ripartirà per l’Uganda, terra di missione della Congregazione dove suor Noretta ha operato fino all’elezione e in cui è attesa per designare alcuni nuovi ruoli. Dopo venti giorni circa farà ritorno a Roma, nella Casa generalizia dell’ordine per le consuete attività di “madre” generale.
Nell’attesa, suor Noretta si è resa disponibile per un’intervista a Qdpnews.it.
Ci può riassumere in breve il suo percorso di vita, dagli studi alla vocazione?
“Prima di tutto, io mi sento sernagliese ma sono nata a Refrontolo, perché la mia famiglia lì possedeva una “riva” e per un periodo ha abitato. Ho frequentato le scuole elementari e medie a Sernaglia e, successivamente, avendo già il desiderio di conoscere più a fondo la vita delle religiose, ho chiesto di fare un’esperienza e mi è stata indicata la comunità di Pistoia, dove si trova la casa madre dell’ordine. Lì ho seguito il corso magistrale e ho avuto la possibilità di prestare servizio in un’associazione che si prendeva cura dei disabili, che mi ha aperto il cuore verso le persone bisognose. Con il tempo, mi sono convinta sempre di più di entrare nella congregazione, sentendo la necessità di ampliare la cerchia di amicizie e di amore e di soddisfare un desiderio di orizzonti più vasti”.
Cosa prova a tornare nella sua Sernaglia dopo essere stata eletta Superiora generale dell’ordine delle Mantellate?
“L’accoglienza è stata molto calorosa, sto ricevendo affetto e complimenti da parte di tutti. Chiedo davvero anche il sostegno della preghiera perché certamente è un posto di responsabilità. Sono grata al parroco e all’intera comunità di Sernaglia della Battaglia perché mi hanno sempre sostenuto e continuano ad essermi vicini con grande affetto e intensa fede”.
Dal nostro osservatorio di Qdpnews.it abbiamo potuto constatare che la sua nomina ha avuto una notevole risonanza, con tante persone che hanno avuto piacere di leggere la notizia del suo nuovo incarico. Cosa le ha sorpreso di questa prima fase del suo nuovo ruolo?
“Quando una di noi viene nominata ‘Superiora generale’ viene chiamata ‘madre’: questo mi fa, da una parte, certamente piacere, dall’altra mi ricorda continuamente ciò che devo essere, cioè madre e sorella di tutti, senza nessuna esclusione, ascoltando i bisogni di ciascuno e cercando sempre una soluzione ai problemi e alla difficoltà che si pongono”.
Lei ha avuto una lunga ed intensa esperienza in Africa. Cosa ci può dire di questo suo impegno missionario e di questo continente, che sta vivendo una fase drammatica di sottosviluppo e conflitti?
“Sono stata per 19 anni in quello che ora è chiamato Regno di eSwatini (ex Swaziland ndr) e poi per quattro anni in Uganda: fin quasi dall’inizio il mio lavoro è stato in particolare nella formazione delle giovani che si affacciano alla vita religiosa. Nelle realtà africane ci sono dei valori diversi dai nostri: ad esempio, mi ha colpito fin da subito il senso di comunità, non solo religiosa o di Chiesa, ma anche locale. Vedere gli adulti seduti sotto un albero a discutere dei problemi della loro zona ci restituisce l’idea della comunità sentita anche a livello locale, cosa che forse noi non abbiamo più. Poi, il grande desiderio di comunicare rivolgendo una particolare e, per noi, ormai inusuale attenzione alla persona: ogni volta che ci si incontra, ci chiedono informazioni, si commentano i fatti, si raccontano le proprie vicende, si stabiliscono relazioni amichevoli e fraterne.
Per quanto riguarda la politica e il rispetto dei diritti umani, il discorso sarebbe molto lungo, ma sicuramente noi cerchiamo di vedere e sostenere le situazioni di ingiustizia e oppressione, operando in modo non troppo visibile perché siamo stranieri. Tramite l’opera educativa, cerchiamo di rendere coscienti gli abitanti della comunità dei propri bisogni, affinché siano loro a trovare la soluzione; se lo facciamo noi in prima linea, alla prima occasione ci mandano via.
Nell’eSwatini la Chiesa è ancora molto giovane e per questo riscontriamo qualche difficoltà nel nostro lavoro per le giovani vocazioni. Al contrario, in Uganda il cristianesimo è arrivato vari decenni prima e ci sono state pure le vicende dei martiri: molti cristiani cattolici sono orgogliosi e sentiamo il loro incoraggiamento nel nostro impegno per la formazione delle novizie.
La situazione è dappertutto, per molti versi, delicata: corruzione, violazione dei diritti umani sono all’ordine del giorno, e c’è da dire anche che il coronavirus ha esacerbato lo stato di estrema povertà e miseria di tante persone”.
Lei ha abbracciato la vocazione religiosa. Cosa si sente di dire ai giovani di oggi, che nonostante una società fortemente secolarizzata vedono ancora religiosi e religiose come punti di riferimento spesso fondamentali per la loro crescita e maturazione?
“Io li invito ad allargare lo sguardo sulla realtà più ampia di loro stessi. Un filosofo ha detto recentemente che ‘ora c’è la morte del noi per la super esaltazione dell’io’. Penso però che se si allarga il cuore e si abbraccia una vocazione di completa donazione di se stessi per la cura delle persone che ci stanno accanto, nasca una felicità profonda nel cuore che i banali piaceri e divertimenti effimeri non possono dare, per cui dico loro: cercate la vera gioia!”.
Periodicamente, anche nella nostra diocesi, si ha notizia di comunità di suore fortemente radicate che lasciano parrocchie (tra le ultime, Pieve di Soligo e Ponte della Priula) per mancanza di ricambio generazionale. C’è speranza per un’inversione di tendenza secondo lei? La sua congregazione sta conoscendo nuove vocazioni?
“Le nuove vocazioni provengono soprattutto dall’area dell’Africa orientale che comprende Uganda, Kenya e Congo, tanto è vero che si dice, scherzando, che la nostra congregazione diventerà africana. In Italia, in Spagna e negli Stati Uniti non abbiamo nuove vocazioni e certamente avremmo piacere che si continuasse a garantire la presenza dell’ordine: l’impegno per i bisognosi, la dedizione ai malati e l’educazione delle nuove generazioni sono attività molto stimate. Spero davvero che ci sia qualche possibilità per un’inversione di tendenza, ma non posso garantirlo”.
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