Non erano ancora le 5 del mattino di quel 29 giugno 1873,quando una scossa di appena 15 secondi provocò il crollo della Pieve di San Pietro di Feletto e la morte di 38 fedeli, di cui 27 donne e 11 uomini.
Al momento della scossa i fedeli si erano riuniti in una cerimonia liturgica, in onore del santo patrono, nonostante la Pieve di San Pietro di Feletto da qualche decennio avesse perso il proprio ruolo di sede principale, assunta dalla vicina chiesa di Rua di Feletto.
E tutto ciò nonostante la chiesetta per lungo tempo fosse l’unica dotata di un fonte battesimale, in un’area estesa che toccava le zone di Refrontolo e Collalbrigo. Il terremoto colse i fedeli di sorpresa alle ore 4.58: crollò il tetto della navata centrale e della navata destra, mentre gli affreschi superstiti divennero ben poco leggibili.
Tra i feriti ci fu anche il cappellano don Gaetano Canale, il quale rimase ferito a un occhio e riportò un braccio fratturato, secondo la ricostruzione fatta da Cinzia Tardivel dell’associazione Amici della Pieve di San Pietro di Feletto.
A tale scossa ne seguì una seconda pochi giorni dopo, il 6 luglio, che provocò il crollo di un duomo di Belluno, già seriamente danneggiato dal terremoto del 29 giugno. Un fatto destinato a rimanere impresso nella memoria storica del territorio, tutt’al più che segnò il declino definitivo della struttura religiosa, che per lungo tempo rimase in una veste nettamente spoglia.
Ma, allo stesso tempo, questo episodio sismico ebbe una rilevanza internazionale, anche se a livello di stampa la questione non venne trattata nelle modalità che noi oggi conosciamo: a parlare del terremoto di San Pietro di Feletto furono ad esempio i periodici “Le monde illustré” o “The illustrated London news”, mentre Alexander Bittner, dell’Istituto geologico imperiale di Vienna, venne in loco per vagliare l’entità dei danni provocati dal sisma.
Lo scenario di devastazione a San Pietro di Feletto venne immortalato in alcuni disegni (e non con un repertorio fotografico come nel Bellunese), dove il paese venne a tratti scambiato con la vicina Conegliano.
Solo dal 1935 riemerse una nuova consapevolezza del valore storico-artistico della Pieve, a cui seguì un percorso di restauro avviato nel 1952 e poi proseguito negli anni Sessanta, Novanta e Duemila. Un’operazione che consentì di riportare alla luce gli affreschi rimasti nascosti o appena visibili, grazie a tecniche come la cosiddetta “operazione di strappo”, che consentì di spostare il ciclo quattrocentesco del Credo e, di conseguenza, di riscoprire gli affreschi più antichi.
Un percorso che ha consentito alla Pieve millenaria di ritrovare la propria centralità nel territorio, divenendo tra i protagonisti del territorio Patrimonio Unesco.
Una cerimonia per non dimenticare
Per ricordare questa triste fatalità oggi, domenica 2 luglio, è stata organizzata una particolare cerimonia dal Comune di San Pietro di Feletto, in collaborazione con Pro loco, Amici dell’Antica Pieve e con il Consorzio di tutela.
“Un boato e poi il crollo” è il titolo della cerimonia, iniziata in mattinata, con una messa in ricordo delle 38 vittime nella stessa Pieve, a cui sono seguiti il discorso del sindaco Maria Assunta Rizzo, la relazione “Storia di un terremoto” di Giorgio Fossaluzza (docente di Storia dell’Arte all’Università di Verona) e un momento musicale con l’ensemble Filix Flutes.
Nel pomeriggio l’iniziativa ha previsto i saluti dell’assessore alla Cultura Claudia Meneghin, la relazione “Danni al patrimonio artistico della Pieve” di Mariachiara De Lorenzi (Amici dell’Antica Pieve), il concerto della Piccola orchestra veneta (diretta da Giancarlo Nadai) e i saluti di Marco Zabotti dell’istituto diocesano “Beato Toniolo. Le vie dei Santi”.
Il primo cittadino ha letto i nomi delle persone decedute sotto il crollo della chiesa, ricordando che proprio San Pietro di Feletto ha avuto il numero più elevato di perdite, considerato che nel Bellunese sono state 70 le vittime.
Fossaluzza ha invece riferito che il sisma è stato del grado decimo della scala Mercalli, quindi di forte intensità. L’accademico ha quindi evidenziato la necessità di “intitolare questo giorno alla perdita di vite umane” e di ricordare “l’esperienza della morte improvvisa di parte di una comunità”.
Riflettere secondo il docente è la cosa migliore da fare in questi momenti e anniversari: riflettere “sul senso della responsabilità” e “per interpretare la vita e la morte”, riflettere sul “rispetto della natura e delle sue tante manifestazioni”.
“Bisogna vigilare e prevenire”, ha detto Fossaluzza, ponendo l’accento anche sul tema della sicurezza, della comunicazione e dei sistemi di soccorso, all’epoca sicuramente non equiparabili a quelli odierni. Una commemorazione, quindi, che “ci interroga sulle responsabilità del presente”.
Il docente ha quindi citato il caso della relazione sugli effetti del sisma effettuata da Bittner nel 1874, un anno dopo la tragedia. Al tempo si parlò di una “costruzione scadente della chiesa” e venne “riconosciuta la fragilità strutturale” dell’edificio religioso. Emerse come i pilastri che sostenevano la navata fossero sconnessi e reduci da una sistemazione improvvisata nel 1853, con dei fili di ferro.
Un’analisi, quindi, che mise in luce una “responsabilità generale del contesto”. Secondo Fossaluzza, ciò mette in luce quanto all’epoca non ci fosse neppure una consapevolezza storica del luogo, emersa poi solamente nel 1907, con la visita in loco del vescovo, occasione durante la quale si fece strada una prima considerazione qualitativa degli affreschi.
Una cerimonia, quindi, per ripensare al passato e, di conseguenza, riflettere su presente e futuro.
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