Prima dei computer a controllo numerico, non c’era modo di sapere esattamente quando le macchine per la maglieria finissero le bobine di filo.
Per far sì che tutto procedesse regolarmente era necessario che qualcuno, al mattino presto e alla sera tardi, andasse a verificarlo e, nel caso, provvedesse a sostituirle.
Quelle che nascevano, a quel tempo e nei decenni precedenti, erano aziende a carattere familiare caratterizzate da un forte senso del sacrificio, abituate a lavorare sulla qualità e a non guardare l’orologio durante i turni.
Una testimonianza di quel mondo, sopravvissuta alla graduale “de-umanizzazione” dell’industria di cui si parla tanto, si trova a San Vendemiano: il maglificio M3 Knitwear conserva ancora, nel suo organigramma e nel suo modo di lavorare, una struttura autentica che piace alle firme di moda nord-europee e che riesce a destreggiarsi con le tecniche e i materiali più particolari, senza mai rimanere indietro.
In realtà, i quattro fratelli Saccon, Marzia, Michele, Mauro e Reginetta, hanno trasferito l’esperienza dei genitori – i quali ancora non hanno smesso di contribuire con creatività all’azienda – sotto un nuovo brand nel 1992: oggi la M3 Knitwear ha venti dipendenti e si descrive come una vera e propria famiglia, dove la maggior parte dei lavoratori collabora da oltre dieci anni.
“L’abbiamo respirata da sempre – spiega Marzia Saccon -. C’era questo legame, quasi tangibile nell’aria: abbiamo deciso tutti singolarmente di continuare con quest’azienda e anche in momenti molto difficili che abbiamo vissuto in passato non ci è mai passato per la mente di abbandonarla”.
Il processo di produzione parte dall’interpretazione delle idee del cliente, che fornisce un disegno di come vorrebbe sviluppare un capo: la creatività del designer, qui, incontra l’esperienza della M3, che apre un dialogo con il cliente e che dà vita alla prima fase della prototipazione. Anche qui, Marzia, che è responsabile delle relazioni con il cliente e il progettista, è riuscita a tramandare quest’arte, del tutto manuale, anche a sua figlia, così come l’ha imparato da sua madre.
Il passaggio al digitale, e quindi all’impostazione delle macchine, è altrettanto complessa ed a guardare il monitor di un programmatore quasi ci si perde: questa la ragione per cui non è facile trovare personale in questo settore, così come in molti altri che richiedano anni di pratica, più che di teoria. Le macchine di M3 Knitwear hanno caratteristiche diverse tra loro e sono in grado di elaborare processi delicati, come il filo elasticizzato e la lana Mohair.
L’obiettivo è, in produzione così come nelle fasi successive, quello di realizzare abiti durevoli nel tempo e qualitativamente impeccabili. Per questo sono importanti anche i reparti relativi alla cucitura, al controllo misure, alla stiratura e all’imballaggio. È curioso sapere che tra le varie tecnologie presenti c’è anche una vecchia macchina tessile: alcune dipendenti hanno da poco portato a termine un corso specifico per imparare a utilizzarla.
“Noi riusciamo a capire quello che i brand vogliono. È la grossa peculiarità che abbiamo in Italia e che nel Far East spesso non hanno – risponde Marzia, interrogata sul perché un’eccellenza della maglieria abbia questo successo in Francia e in Olanda -. Sicuramente ora c’è una grande necessità di forza giovane, perché molte situazioni ci hanno fatto capire che il lavoro deve essere gestito in maniera diversa”.
La M3 Knitwear però si è già attivata anche su questo fronte: “Non disperiamo. Stiamo lavorando con varie università e scuole per far sì che i ragazzi provino un’attività di questo tipo e, magari, come noi, se ne innamorino”.
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