Stramare, il “borgo delle sette vedove”, nel libro di un montebellunese che in quel luogo ha trascorso l’intera gioventù

In un libro è contenuta la storia recente di Stramare, piccolo borgo fondato nel ‘600 da carbonai istriani, come dipinto sul crinale sotto il monte Zogo (Doc). Stramare è una frazione del Comune di Segusino, meta rinomata come Milies.

Un borgo che, nel suo massimo splendore, contava circa 140 abitanti e poi totalmente disabitato. Oggi all’anagrafe di Segusino sono iscritti quattro residenti a Stramare.

A fissare sulle pagine i ricordi, dal primo dopoguerra a pochi anni fa, è stata la penna di Rosino Stramare, 69enne oggi residente a Montebelluna, ma che quel luogo magico della sua gioventù non ha mai completamente lasciato.

“Non siamo scappati – spiega Rosino Stramare -, ma siamo andati ad abitare in un altro paese. Siamo andati via perché in paese sarebbe stato difficile formare una famiglia”.

L’esodo ha avuto inizio con il boom economico, mano a mano gli abitanti sono andati via, attratti dalle opportunità lavorative ed economiche che offriva la valle. Uno ad uno fino all’ultimo. Oliva Stramare, deceduta quattro anni fa alla veneranda età di 101 anni, è stata l’ultima residente di Stramare. Fino all’ultimo ha tenuto una vacca e un asino, semplici “ricchezze” di quel luogo che sembra appartenere alla storia.

Stramare è detto anche il “borgo delle sette vedove”. Il 1988 fu infatti un anno nefasto, in dodici mesi morirono quattro capifamiglia e in paese rimasero soltanto sette vedove.

“Negli anni Settanta – prosegue Rosino Stramare – cominciò ad affacciarsi il benessere. Potei comprarmi una moto con cui andare a lavorare in pianura, poi una 500. A quei tempi il paese era ancora completamente autonomo, c’era il falegname, il norcino, la scuola di appena due stanze dove prendevano posto 24 studenti. Mio nonno era un falegname e costruiva sedie e gerle. Quando i contadini capirono che andando a lavorare nelle aziende a valle si guadagnava in due mesi ciò che si portava a casa in un intero anno di duro lavoro nei campi, così se ne andarono tutti. Io sono andato via il 15 maggio del 1976, ma in questo posto incantevole, dove sono cresciuto, appena potevo ritornavo. Dormo a Stramare circa 200 giorni l’anno”.

Rosino ha ereditato dal nonno la passione per la falegnameria, tanto che spesso lo si può incontrare nel borgo intento a costruire gerle che oggi hanno perlopiù funzioni ornamentali.

Il libro si intitola “Stramare, come mi”, Rosino racconta che ha impiegato una decina d’anni per scriverlo. Soprattutto nelle serate invernali, “stufo di sentire i soliti discorsi in televisione”, Rosino si appuntava in un quadernone, in bella copia, i ricordi che affioravano alla sua memoria. Fino a quando alcuni suoi amici lo hanno spronato a trasformare quelle parole scritte davanti al caminetto in un libro.

Tra questi Matteo Berra, presidente dell’associazione culturale di Segusino “Drioghe a la Stéla” e la moglie Paola Coppe. Ma anche Miro Graziotin, da Valdobbiadene, persona dall’elevato spessore culturale che si autodefinisce un “agitatore culturale”.

Venerdì 13 agosto si è tenuta la presentazione del libro, edito dal montebellunese Danilo Zanetti e stampato da Daniele Tamborini (40 anni d’esperienza in tipografia a Varese con la moglie originaria di Segusino) attraverso la Galli edizioni di Varese.

Oltre a Berra e Graziotin, erano presenti l’ex sindaco Agostino Coppe, l’attuale assessore alla cultura Stefano Verri, l’attore e regista nonché direttore artistico del Teatro del Pane Mirko Artuso, residente poco distante da Stramare e che in quel borgo un tempo “dimenticato” sta ora portando cultura d’alto livello.

Intensa, appassionata e puntuale è stata la presentazione del libro da parte di Miro Graziotin. “Un libro dedicato alle donne di Stramare, vere eroine di questo borgo”, come ha sottolineato Rosino Stramare nel suo intervento.

E proprio il nome del borgo, nella felice intuizione di Miro Graziotin, richiama al ruolo che hanno avuto le donne in questo antico borgo: “Stramare, la grande madre – ha detto Graziotin -, quella che accoglie tutti in un grande abbraccio, che siano del posto o che vengano da lontano”.

Il borgo oggi rivive sotto una forma nuova rappresentata dal turismo di nicchia e chi ci passa, anche solo per una breve visita, lascia il suo cuore.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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