Evasione fiscale, definitiva la condanna ai Grigolin. La difesa valuta la richiesta di revisione del processo

Fatture false e operazioni inesistenti con l’unico obiettivo di frodare il Fisco: questa l’accusa che ha portato alla condanna di Maurizio Grigolin, 66enne amministratore di fatto dell’omonimo gruppo trevigiano, della madre Irma Conte, 95 anni, amministratore di diritto, del figlio Giambattista Grigolin, 40 anni, e del manager Mario Buso, 64 anni.

I quattro, che erano accusati di evasione fiscale per circa un milione di euro, sono stati condannati a pene che vanno dai 18 mesi a poco più di due anni. Condanne diventate definitive con la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato quelle già emesse nel 2020 dal Tribunale di Treviso e nel 2022 dai giudici di Venezia (che avevano in parte ridotto le pene).

A farli finire a processo una complessa vicenda iniziata nel 2010 con un contratto per la manutenzione di alcuni silos che la “Fornaci Calce Grigolin” aveva stipulato per 8 milioni di euro più Iva (1.350.000 annui per sei anni) con la “Pietrisco del Ticino”, società del gruppo amministrata da Giambattista Grigolin. Operazione che i giudici hanno ritenuto «palesemente strumentale ai reati contestati nell’ottica dell’evasione d’imposta».

Secondo l’accusa, infatti, la “Fornaci” avrebbe corrisposto un «poderoso e ingiustificato acconto di 6,6 milioni di euro (versati 5,4 milioni)». Somma che sarebbe però tornata alla Fornaci tramite la “Graficomm”, una terza società a cui la “Pietrisco” aveva girato tra ottobre e novembre 2010 3,3 milioni di euro. Questa, ricevuta la somma, aveva richiesto 93 assegni circolari per un valore di 3,462 milioni di euro (trattenendo per sé 57 mila euro) che erano stati poi incassati da Fornaci. I restanti 2 milioni di euro sarebbero stati incassati da Fornaci mediante la compensazione, da parte di “Pietrisco”, di un prestito obbligazionario emesso dalla stessa “Fornaci” ritenuto solo «apparente».

I giudici hanno respinto la tesi difensiva secondo la quale l’operazione sarebbe servita a salvare la “Pietrisco” in difficoltà e “la provvista” data a Graficomm sarebbe servita per l’acquisto di una cava in Slovenia. Scrivono i giudici: «Contrariamente ad ogni logica contrattuale» Graficomm aveva subito restituito a Fornaci i 3,3 milioni di euro, mentre i 57 mila euro che si è tenuta sarebbero giustificabili «soltanto come il prezzo, infine pagato da Fornaci, per la partecipazione all’operazione fraudolenta».

Il processo ha riguardato anche quella che secondo la Corte di Cassazione è «un’operazione inesistente per la vendita dei silos» per 14,4 milioni di euro, da Fornaci a Superbeton spa che in seguito avrebbe sottoscritto l’aumento di capitale proprio tramite il conferimento dei silos, ad Aster Italia Srl amministrata da Buso, operazione ritenuta «atto strumentale al compimento dell’illecito».

La Aster, che si occupava di mobili per cucina, poco dopo avrebbe cessato l’attività mentre i silos «erano tornati nella proprietà di Fornaci con recupero pressoché integrale della somma (apparentemente) versata». Condannata insieme al figlio e al nipote anche Irma Conte, amministratore di diritto che aveva opposto ricorso sostenendo di essere un mero prestanome. Tesi difensiva sconfessata dai giudici che hanno ritenuto la 95enne abbia rivestito «il ruolo in modo consapevole, assumendo i doveri di controllo e con conseguente responsabilità penale anche per le condotte dell’amministratore di fatto».

Sentenza e motivazioni totalmente respinte dagli avvocati della difesa Loris Tosi e Antonio Giuseppe D’Agostino: «I giudici hanno valutato i comportamenti come se fossero articolati e connessi tra di loro – commenta l’avvocato Tosi -, ma non si è trattato di un disegno mirato ad agire fiscalmente, quanto di una strategia aziendale per finanziare il gruppo Grigolin che era in un momento di difficoltà. I giudici della Suprema Corte non entrano nel merito dei fatti ma valutano la sentenza della Corte d’Appello che hanno ritenuto motivata e fondata. Se invece fossero stati analizzati correttamente i numeri, cosa che nessuno in questo processo ha mai fatto, si sarebbe chiarito che l’evasione d’imposta era modesta e addirittura Grigolin ha pagato un milione e 300 mila euro, quindi più di quanto avrebbe dovuto. La cosa che ci ha sorpreso maggiormente è stato leggere nelle motivazioni che la Corte ritiene questo fatto non provato anche se, a conferma, abbiamo depositato un certificato dell’Agenzia delle Entrate».

Per questi motivi, i legali e la famiglia Grigolin stanno valutando la possibilità di richiedere una revisione del processo sulla base di elementi che non sarebbero stati valutati dai giudici.

(Foto: Corte di Cassazione – Wikipedia).
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Articoli correlati