“L’habitat del Piave non è più lo stesso: piante un tempo non ce n’erano, la terra veniva rimossa di continuo e i rami del fiume cambiavano sempre. La vegetazione è cresciuta quando hanno smesso di scavare”.
A raccontare di un luogo per certi aspetti molto diverso da quello attuale, una diversità paesaggistica che coincide anche con un modo diverso di vivere l’esperienza fluviale, è il presidente Paolo Cescon (nelle foto) della Federazione pescatori sportivi La Piave, la sigla che riunisce i club e le associazioni degli appassionati di pesca sportiva di Ponte della Priula, Nervesa della Battaglia e Falzè di Piave.
Cescon, 62 anni residente a Ponte della Priula, ospite nella nostra redazione di Pieve di Soligo, ci ha raccontato della sua esperienza pluridecennale a contatto con il Piave e di tutti gli sforzi che i pescatori si prendono in carico per salvaguardare il fiume.
“Anche le portate un tempo erano diverse – prosegue Cescon – C’era più neve e dunque più acqua, anche se d’estate andava in secca quasi sempre. Questo per via delle irrigazioni, ma ora non succede più dopo che è stato introdotto il Flusso minimo vitale, che garantisce sempre una certa portata d’acqua. Sempre un volta, poi, le grandi buche degli scavi per estrarre la ghiaia diventavano i luoghi dove i pesci riuscivano a riprodursi e a crescere, e dunque c’era più vita.
Dunque un tempo, paradossalmente, c’era più acqua ma il fiume andava in secca d’estate, e nonostante questo c’era più pesce?
Proprio così. Il Piave nel tempo si è impoverito, anche in seguito al divieto emanato dall’Unione Europea che proibiva l’introduzione di specie non autoctone. Ad oggi, infatti, ci è permesso introdurre solo la trota marmorata, mentre esemplari delle specie fario e iridea ce ne sono sempre meno. Per tutelare i pesci abbiamo dovuto cambiare il sistema di pesca, una decisione all’inizio impopolare, vietando la pesca a fondo con piombo e con esche naturali: con questa tecnica il pesce ingoia del tutto l’esca e e rimane ferito gravemente nel momento in cui viene rilasciato. Introducendo l’esca artificiale il pesce può essere rilasciato senza problemi e la mortalità si riduce a zero.
La vostra federazione quanti soci conta?
Siamo circa in 280. Come federazione godiamo di un certo prestigio, grazie anche al nuovo sistema di semina della trota marmorata che abbiamo introdotto e al fatto che siamo gli unici che adottano una tecnica di pesca che possa salvaguardare la specie.
Ci sono giovani che si dedicano ancora alla pesca?
C’è ricambio generazionale, ma non più come una volta, anche se i giovani che si avvicinano oggi sentono la pesca in maniera quasi naturale. Per questo vorremo cercare di coinvolgere anche le scuole, magari portando i bambini a vedere come funzionano le incubatrici e far loro capire che dentro il fiume c’è un intero sistema di vita. Il problema, più in generale, è che portare i bambini a pescare è sempre più difficile, non tanto per voglia, ma per tutte le carte necessarie tra permessi e assicurazione.
Di cosa si occupa in concreto al vostra associazione?
Lo scopo principale e far sì che i pescatori possano pescare, ma per questo è necessario salvaguardare il fiume, con tutti gli accorgimenti che ho spiegato prima. A livello di volontariato ci occupiamo anche della sorveglianza: comunichiamo a Consorzio e Provincia quando il fiume rischia di andare in secca, preleviamo i pesci dalle buche che si prosciugano o dai canali – quando vengono chiusi d’inverno – per rimetterli in acqua, puliamo gli argini e il greto, che ultimamente sono sempre più pieni di rifiuti, e ci occupiamo della semina dei pesci.
L’allevamento dei pesci come funziona?
In un canale o in una vasca mettiamo i riproduttori e ci assicuriamo che avvenga la semina delle uova. Poi seguiamo la crescita delle larve finché non passano alla stadio di avannotti, allora a quel punto li possiamo immettere del fiume. Sono circa 100 mila gli avannotti che vengono immessi ogni anno, di cui sopravvivrà circa un 5%, tutti gli altri invece vengono mangiati dai pesci più grandi. Immettere pesci nel fiume, infatti, non serve solo a far crescere i piccoli, ma anche a nutrire quelli più grandi.
Ultimamente si è discusso molto dei cormorani e di come la loro presenza danneggi voi pescatori.
Nella maniera in cui è stata posta la discussione, si tratta di un caso politico. Non è un discorso di buoni o cattivi, perché la venuta di questa specie sul Piave circa quindici anni fa è stata un disastro e ha causato moltissimi danni. Eravamo appena riusciti a ripopolare le acque dei temoli, una specie che vive vicina alla superficie, e in due anni i cormorani hanno fatto razzie. Noi siamo costretti ad immettere solo specie autoctone, ma il cormorano non lo è e se ne andrà solo quando la mangiatoia sarà vuota. Ridurre il loro numero è necessario e credo che tramite incontri e discussioni con tutti gli enti coinvolti si possa arrivare ad una soluzione, sentendo le opinioni di tutte le parti.
In questo momento com’è la situazione dei pesci? Ce ne sono?
Ci sono molti esemplari di grossa taglia e pochi di media misura: vuol dire che i giovani non riescono a crescere. Ma se non c’è ricambio, presto il Piave rischia di diventare un fiume senza vita.
(Intervista a cura di Edoardo Munari © Qdpnews.it).
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