“Se esistono vincitori e vinti dopo una guerra, il racconto di chi l’ha vissuta tende a inorgoglire una parte e azzerarne un’altra”. Una visione poco oggettiva della storia può offuscare inconsapevolmente alcuni fatti, svilendoli, e capita che essi vengano dimenticati, sovrastati dal trionfo e dal patriottismo radicale: forse è grazie a prospettive alternative, che preservano un distacco e passione per l’autentico, che tragedie come quella di Villa Jacur non vengono dimenticate.
Le ricerche condivise dal Comitato imprenditori veneti “Piave 2000” ed espresse dal presidente Diotisalvi Perin si pongono l’obiettivo prioritario di raccontare la storia senza fare differenze tra chi ha vinto e chi ha perso la guerra.
Era l’11 novembre del 1917 e le truppe austroungariche occupavano la sponda sinistra del Piave, uno degli avamposti, come si può dedurre dalla moltitudine di gallerie e trincee che ancora oggi bucano la collina nei pressi di Colfosco.
L’esercito italiano si trovava invece dall’altra parte, sul Montello, e dai binocoli osservava un gran movimento di mezzi lungo la strada provinciale. Quando il comando decise di iniziare a sparare con i cannoni, era consapevole che il tiro non sarebbe stato preciso e che c’era il rischio di colpire edifici civili.
Una delle bombe precipitò nel cortile di Villa Jacur, un edificio civile ai piedi di una collinetta dove viveva la famiglia Tittonel e dove proprio in quel momento stavano giocando sei bambini. Cinque di loro, Giovanni, Antonietta, Angelina, Lauretta e Bortolo, persero la vita: l’unica a salvarsi fu Pasqua, che venne ricoverata in un ospedale. Giovanni e Bortolo morirono sul colpo, Angelina e Lauretta esalarono l’ultimo respiro soltanto il giorno dopo, dopo grandi sofferenze.
La corsa in ospedale per la salvezza di Pasqua iniziò il giorno stesso: a Collalto, la madre, con la bambina ferita appresso, non trovò il medico e fu costretta a proseguire fino a Soligo, dove arrivò grazie all’aiuto dei cognati: lì i medici austriaci le salvarono il braccio con un’operazione d’urgenza.
Durante le medicazioni successive, una suora che coordinava il ricovero dei feriti, non per conto dei medici tedeschi, pretese il pagamento di un franco ogni medicazione, che erano necessarie per evitare un’amputazione dell’arto: la madre di Pasqua riuscì a stento a pagare la retta, ma si trattò di un vero salasso per la famiglia.
“Mia madre aveva molte cicatrici e portava sempre le maniche lunghe – racconta Aldo Meneghel – aveva paura dei botti e dei temporali”. Quando nel 2002, il Comitato Piave 2000 commissionò a Piero Stefano, uno scultore locale, un bassorilievo da dedicare alla commemorazione della tragedia, anche Pasqua aveva presenziato all’inaugurazione, con grande commozione di tutti i presenti.
La targa si trova a fianco alla strada provinciale, nei pressi di dove giacciono inabitati alcuni edifici e dove un tempo sorgeva Villa Jacur: gli automobilisti che passano quotidianamente su quella via potrebbero essersi abituati a vedere quel monumento, capace di rievocare la parte meno trionfale della guerra ma forse anche quella che ne descrive meglio la tristezza.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
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