È stato un venerdì sera all’insegna dei nobili ideali dello sport, del rispetto e dell’amicizia quello vissuto presso l’Auditorium Prealpi San Biagio di Tarzo, dove un pubblico numeroso ha partecipato all’incontro “Sport, passione e storie: un viaggio con Marino Bartoletti”.
Protagonisti della serata, tre figure simbolo dello sport italiano e trevigiano: Marino Bartoletti, storico giornalista e ideatore di trasmissioni leggendarie come Quelli che il calcio, Gianni De Biasi, ex calciatore ed allenatore dal profilo internazionale e Marzio Bruseghin, ex ciclista professionista dal 1997 al 2012.
Ad anticipare gli ospiti, un interessante preambolo, parte del “Tour della Prevenzione”, dal titolo “Fare sport, tra vizi e virtù”, che ha visto gli interventi della cardiologa Debora Cian e dello psicologo Andrea Franceschin del Centro di Medicina di Conegliano, moderati dal divulgatore scientifico Marco Ceotto.
L’evento clou della serata, introdotto da Flavio Salvador (presidente dell’associazione NoixNoi e vicepresidente di Banca Prealpi SanBiagio), è stato condotto dal giornalista Stefano Boscariol che ha saputo trasformare il palco in un vero salotto di racconti, dove si sono intrecciati sogni, valori e qualche sorriso.
Gianni De Biasi, con un approccio riflessivo ed elegante, ha condiviso il racconto della sua vita: quella di un bambino degli anni Sessanta che, partendo da Sarmede, inseguiva un pallone come via di fuga e sogno da afferrare.
“Quando hai una motivazione legata al tuo futuro, hai già tutto – ha affermato, ricordando un simpatico episodio dei suoi trascorsi all’Inter, quando divideva la stanza con un Sandro Mazzola a fine carriera.
Per rispetto verso l’autorevolezza di quella figura, aveva accettato persino la luce accesa durante la notte – avrebbe preferito fosse spenta, e lo stesso Mazzola lo aveva proposto – ma il rispetto per ‘il più anziano’, per l’uomo di riferimento, ha prevalso.
E poi, il capitolo albanese: “Un paese per molti anni sconosciuto, carico di voglia di riscatto. Prima dell’esperienza come allenatore della nazionale albanese, era già stato parte di un progetto finalizzato a portare il calcio nelle scuole. Dove c’è un pallone, i ragazzi arrivano sempre”.
“Avevo anche io il sogno di giocare a San Siro – ha confessato con il sorriso Marzio Bruseghin – ma il mio fruttivendolo mi disse che avevo i piedi a banana. Così mi hanno dato un cavallo d’acciaio e mi hanno detto: corri. E grazie a quella bici ho girato il mondo e mi sono tolto tante soddisfazioni”.
E poi c’è lui, Marino Bartoletti, memoria vivente dello sport italiano. Artigiano delle emozioni, come ama definirsi: “Sono un provinciale e ne vado fiero. Noi provinciali siamo nati per migliorarci”.


Con passione ha ricordato le Olimpiadi di Roma del 1960 viste in TV da bambino, insieme al padre, e come quell’evento ridette dignità e orgoglio a un’Italia ancora povera e in ricostruzione ma piena di ingegno. “Lì ho capito che le emozioni dello sport forse un giorno avrei potuto raccontarle. E penso, modestamente, di esserci riuscito”.
Tra i tanti aneddoti, uno spicca per fascino e umanità: l’incontro con Gianni Brera.
Bartoletti aveva appena vent’anni quando dalla sua piccola Forlì salì su un treno diretto a Milano; l’obiettivo era chiaro: lavorare al Guerin Sportivo, diretto allora dal monumentale coniatore di neologismi.
L’incontro avvenne in una stanzetta modesta, dove Brera – “con le sue manone plebee” – picchettava i tasti di una Lettera 22. Bartoletti entrò in soggezione, come se si trovasse “tra Disneyland e la cappella privata del Papa che diceva messa solo per me”.
Ma dentro quell’emozione c’era anche la consapevolezza che stava iniziando qualcosa di grande. Non poteva immaginare allora che, quindici anni dopo, sarebbe stato proprio lui a sedersi sulla poltrona di direttore del Guerin Sportivo, nel momento in cui era il più autorevole settimanale sportivo d’Europa.
“Se in quel momento fosse passato un diavolo, e io fossi stato il dottor Faust, l’anima non gliel’avrei venduta. Gliel’avrei regalata, per la minima parte che questa carriera – e questa vita – mi ha dato”. Ma per fortuna il diavolo non passò. E Bartoletti l’anima l’ha tenuta stretta: gli è servita tutta, per diventare quello che è diventato.


Non è mancato il racconto di come Quelli che il calcio vide la luce. Quando, nel gennaio del 1993, Bartoletti si presentò nell’ufficio di Angelo Guglielmi, allora direttore di Rai Tre, aveva in mano un’idea che sapeva essere folle e rivoluzionaria: trasformare Tutto il calcio minuto per minuto in una trasmissione televisiva. Un’idea rivoluzionaria.
“A Guglielmi consegnai quello che oggi chiameremmo un abstract – ha raccontato – un riassunto del programma che avevo in mente. Sognavo una trasmissione che unisse lo spirito della radio con il linguaggio della TV. Ma tra il dire e il fare…”.
Non era la prima volta che la televisione provava a portare sullo schermo un formato nato in radio. Prima di Quelli che il Calcio, ci erano riusciti in due: Il processo alla tappa di Sergio Zavoli e La Corrida di Corrado. Quello di Bartoletti sarebbe stato il terzo tentativo. E non fu facile.
“Tutti ci guardavano con diffidenza. Nessuno credeva davvero nel progetto. Non riuscivamo nemmeno a trovare un conduttore, perché nessuno voleva imbarcarsi in quella che sembrava una piccola follia”. E invece, quella ‘piccola follia’ avrebbe cambiato il modo di raccontare il calcio in televisione, portandolo tra il pubblico come mai prima d’allora.
“Lo sport è un linguaggio universale – ha ricordato Bartoletti – mettete un pallone in mezzo a una classe di bambini e lo rincorreranno insieme, a prescindere da colore, religione o origine. Impareranno cos’è il gioco di squadra, a vincere e a perdere. Ma senza le incrostazioni che mettiamo noi adulti”.
E proprio ai più giovani ha pensato anche Bruseghin: “Ci sono abilità motorie che si possono sviluppare solo da bambini e non si recuperano più. Forse dovremmo ripensare la scuola come un luogo in cui la preparazione del corpo vada di pari passo con quella della mente. Ci sono dei momenti di crescita importanti, che non vanno persi”.
La serata, organizzata da Banca Prealpi SanBiagio, NoixNoi ETS e il Centro di Medicina di Conegliano con la collaborazione del Gruppo Alpini di Tarzo, ha regalato al pubblico un confronto prezioso, dove le tre celebri personalità dello sport, con l’umiltà che appartiene solo ai più grandi, sono riuscite a condividere lezioni di vita preziose. Una modalità di dialogo autentica, profonda, tesa alla riflessione; che, nell’epoca della comunicazione digitale e dei contenuti istantanei, sembrava quasi dimenticata.
(Autore: Francesco Bruni)
(Foto e video: Francesco Bruni)
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