Dopo la tragedia, gli interrogativi. Tarzo, e in realtà un territorio ben più ampio, è scossa dalla scomparsa di Giancarlo Gaio e Cesira Bianchet, i coniugi ultraottantenni trovati morti ieri giovedì di primo mattino dal genero Graziano, che si era recato nell’abitazione di Colmaggiore di Sopra per portare Giancarlo a una visita ospedaliera.
Proprio le condizioni di salute, sempre più pesanti con l’avanzare dell’età, della coppia sarebbe alla base di quello che per moltissimi è un omicidio-suicidio, perpetrato da Gaio che avrebbe sparato prima alla moglie e poi a se stesso.
Per elaborare lo choc che questa tragedia lascia in pesante eredità alla famiglia e alla comunità locale servirà tempo. Fin d’ora, però, la domanda che come un tarlo alberga un po’ in tutti mentre le indagini fanno il loro corso è: tutto ciò si poteva evitare?
Un’ampia riflessione in questo senso l’ha offerta don Francesco Cerruti, arciprete – parroco di Tarzo, Corbanese e Arfanta, presente ieri mattina davanti all’abitazione degli anziani coniugi insieme alle altre autorità, ai cronisti e ai vicini. “Quello che si può fare è un lavoro da remoto che è esattamente quello che noi allegramente stiamo non facendo. Tutti quanti – il suo esordio -. Quindi recuperare la nostra dimensione di figli, quindi pregare il Padre, quindi fare comunità. C’è uno spazio che la comunità mette a disposizione, che è la celebrazione della messa, ma la snobbano. Se hai lì le persone, poi le agganci e qualcosa cresce”.
La riflessione di don Francesco prosegue con un velo di malinconia: “Una volta i sacerdoti facevano la benedizione delle famiglie casa per casa, e la facevano tutti gli anni, che è bellissimo. Però Arfanta aveva un parroco, Tarzo aveva anche il cappellano, tutte le case di riposo avevano il loro sacerdote, adesso ci siamo io e il diacono permanente, che per fortuna c’è, ringraziamo il Signore che c’è. Se il principio è “ognuno per sé e Dio per tutti“, che razza di comunità vogliamo costruire? Questa è la questione. Io non ho una soluzione da dare, io da pastore dico: ricominciamo – come dissi in occasione del funerale di Paolo Marangon – a pregare ogni giorno, mescolando ringraziamento, richieste, intercessioni, un po’ di tutto. Partiamo da lì e teniamo la preghiera come punto di riferimento giornaliero. Poi la messa domenicale: non la snobbiamo, perché sennò a lungo andare la paghiamo, e non perché il Signore ci punisce. E questo non ci costa niente. Poi da questi momenti di aggregazione, che ci vengono offerti gratis, nascerà qualcosa”.
Inevitabile la domanda: sarebbe bastato questo per evitare la tragedia? “Non sono in grado di dirvi di sì – ammette don Francesco -, ma neanche di no. C’è un mondo, che è prima di tutto umano, da ricostruire. La mia idea è: non partiamo dalle cose che non ci sono, perché ora che le pensi e le metti in piedi passa una barca di tempo. Ci sono delle cose che già ci sono: il Covid ci ha segato la partecipazione alla messa, ma eravamo in crisi anche prima. E allora ricostruiamo il tessuto intorno a Colui che ci ama da sempre. Nelle mie parrocchie abbiamo 5 messe nel weekend, uno tre quarti d’ora li trova per andarci”.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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