La Certosa del Montello: ricostruzione di un’assenza, eco di un’eternità

Un viaggio nel tempo, tra splendore e decadenza, per riscoprire le vicende che hanno segnato il destino di un edificio dalla grande carica spirituale e simbolica, materialmente perduto ma mai cancellato dall’immaginario storico locale.

I Martedì in Villa”, tradizionale appuntamento culturale settimanale trevignanese, hanno ospitato ieri una serata di approfondimento su un affascinante e poco conosciuto capitolo della storia veneta: la certosa di San Girolamo, un monastero che sorgeva sul Montello, in corrispondenza di quello che è oggi territorio del comune di Nervesa della Battaglia.

Attraverso immagini inedite e documenti (raccolti nel suo libro “Il Bosco e l’Abbazia, i nobili Giusti e il Montello”), Maria Grazia Cecchini, storica e scrittrice, ha svelato i fasti e il declino di quella che fu la prima certosa dell’ordine dei certosini in Veneto, fondata nel 1348 grazie all’iniziativa del vescovo di Padova Ildebrandino Conti, amico e guida spirituale di Francesco Petrarca.

Ciò che rende particolarmente affascinante questa vicenda è la quasi totale assenza di tracce materiali visibili della certosa nel paesaggio attuale del Montello. Come ha spiegato la relatrice, ciò che resta è una grande spianata; una distesa che balza all’occhio per il suo porsi paesaggisticamente in controtendenza rispetto al classico panorama collinare del territorio. Documenti d’archivio parlano di una dolina, chiusa dagli stessi monaci con l’aiuto della nobiltà locale. 

Una presenza, quella del monastero, confermata dalla presentazione dell’immagine di un dipinto ad olio inedito, ritrovato nella Galleria delle Carte della Grande Chartreuse. La rappresentazione, risalente alla fine del Seicento, esprime fedelmente la struttura architettonica del luogo di ascesi e offre ne offre un’ultima, preziosa, testimonianza visiva

Attirando intellettuali e nobili veneziani e padovani, grazie ai lasciti e alla protezione di famiglie influenti, tra cui i Collalto, la certosa divenne presto un polo di cultura e spiritualità, prosperando con un’economia basata sulla produzione di vino, cereali e rimedi farmaceutici.

Quella della studiosa non è una mera catalogazione di dati, bensì una vera e propria opera di rivitalizzazione: documenti solo apparentemente asettici, attraverso un lungo lavoro di analisi, hanno permesso di ricostruire la vita monasteriale degli uomini che popolavano quel luogo di cultura e preghiera, abili gestori di un’economia fiorente. 

Il materiale ricavato con un lavoro certosino – in questo caso nel vero senso della parola – dai registri dell’Archivio di Stato di Treviso, rivela la quotidianità del monastero: dai beni prodotti e commerciati fino agli elenchi di spese per calzature e biancheria sacra. L’attenzione del pubblico è stata catturata dalle vicende legate alla spezieria del monastero, un tempo rinomata per la preparazione di rimedi officinali, la cui attività venne bruscamente interrotta da un decreto della Repubblica di Venezia nel 1768. Tuttavia, le carte testimoniano che la produzione di spezie e rimedi naturali continuò per uso interno fino alla fine del secolo.

La storia della certosa del Montello, così come quella di molti altri monasteri, fu segnata irrimediabilmente dall’arrivo delle truppe napoleoniche. L’Armée d’Italie, spinta formalmente da ideali rivoluzionari ma sostanzialmente da impellenti necessità economiche, impose gravosi tributi al monastero, contribuendo al suo inesorabile declino. La professoressa ha mostrato un’ interessante campionatura di ricevute d’imposte pre-stampate che testimoniano il peso di queste imposizioni sui monaci, costretti a indebitarsi per far fronte alle richieste vessatorie dei nuovi occupanti.

Il colpo di grazia arrivò nel 1806, quando un decreto del viceré Eugenio di Beauharnais sancì l’abbandono forzato del monastero da parte degli ultimi 14 monaci e quattro laici. Nel 1812, con la definitiva confisca dei beni ecclesiastici da parte di Napoleone, la certosa venne distrutta e i suoi preziosi arredi venduti.

L’appuntamento a Villa Onigo è stata un’occasione per immergersi in un affascinante passato, tra intrighi storici, simbolismi certosini e il dramma di un’epoca segnata da cambiamenti radicali. Un tributo doveroso a quei monaci che, in silenzio, accettarono il loro amaro destino lasciando per sempre le certezze e la tranquillità dei luoghi della loro crescita spirituale. 

(Autore: Francesco Bruni)
(Foto: Francesco Bruni)
(Articolo e foto di proprietà di Dplay Srl)
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