“La pace oggi è ancora possibile: è un cantiere aperto a tutti che passa attraverso i gesti della vita quotidiana”: ha lanciato un forte messaggio di speranza attorno al tema della pace il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’apertura del Festival Biblico a Treviso ieri sera, giovedì 4 maggio.
Voce autorevole del panorama internazionale ed esponente di rilievo del noto movimento di laici cristiani che si impegna a favore dei poveri e della costruzione di una società giusta, Riccardi è intervenuto con una lectio magistralis sul tema della pace davanti alla folta platea dell’auditorium del Collegio Pio X, sede individuata dopo lo spostamento dalla chiesa di San Teonisto per un numero elevato di prenotazioni.
Da poco rientrato da un viaggio nella martoriata Ucraina, Riccardi ha riflettuto su “Pacem in terris: dopo 60 anni è ancora un sogno possibile?”, partendo dalla lettera enciclica di Papa Giovanni XXIII pubblicata ad aprile 1963.
“Penso che oggi sia decisivo discutere di pace – ha esordito Riccardi -: lo è per noi, per l’Europa, e per i Paesi in guerra, ma anche per le nostre società, ansiose di sicurezza e cariche di paura e aggressività; e lo è per i cristiani: un cristianesimo senza pace è una mutilazione del Vangelo. Dobbiamo dare presto una pace per l’Ucraina, tormentata da una guerra che si combatte solo nel suo territorio, e che il suo popolo paga in maniera quasi esclusiva”.
“Poco si è investito dal punto di vista diplomatico – ha proseguito -: questo fa paura, perché in questo mondo le guerre si eternizzano, perché sono tanti gli armamenti, i nodi politici e le interferenze internazionali”.
La Pacem in terris uscì nel 1963, al tempo della Guerra Fredda: “È il simbolo di una pace possibile, e tanta fu l’eco allora tra la gente, che sperò di uscire dal rischio del conflitto atomico – ha detto ancora -: esprime il sogno di un papa viaggiatore e amante dei popoli della terra, e rappresenta il suo testamento, in quanto morì dopo nemmeno due mesi”.
Rievocando alcuni dolorosi e delicati passaggi del suo recente viaggio in Ucraina, Riccardi ha sottolineato che “i più non sanno che cosa sia la guerra: viviamo un lungo tempo di pace, e questa oggi appare scontata. Dall’inizio del 21esimo secolo, ha prevalso un’immagine di una logica di guerra pulita, lontana da quella sporca delle trincee, anche a causa della morte degli ultimi testimoni: questo ha favorito la riabilitazione come strumento di risoluzione dei conflitti e di affermazione degli interessi, di amnesia dall’orrore della guerra e di rinascita degli entusiasmi bellici”. Qui – secondo Riccardi – “risiede il dramma delle Nazioni Unite, nate per liberare l’umanità dalla guerra e oggi in ombra”.
“Ci sono Paesi che vivono guerre nel silenzio, senza aiuti – ha affermato il relatore – non si è maturata una visione di pace globale. L’esperienza della pandemia ci ha mostrato che siamo sulla stessa barca: la Pacem in terris proponeva una pace globale, per gli esseri umani e tra le nazioni”.
“Oggi c’è una cultura dell’irrilevanza – ha ammonito -: spesso anche le Chiese nazionali e diocesane si danno obiettivi limitati e tutti interni, senza preoccuparsi di come creare pace nelle comunità. L’irrilevanza giustifica l’indifferenza e il vittimismo, che è la malattia del nostro tempo. Dobbiamo essere rilevanti, non per disegni di potenza, ma per un desiderio di aiutare, cambiare, e provare a essere nella storia. Nel sogno di Giovanni XXIII, la pace è possibile e va cercata nella storia, che è abitata da tanti cercatori di pace e mette in luce il senso di un destino comune”.
Riccardi ha invocato una “responsabilità dei cristiani” – al tempo di una guerra che “logora la comunione nella Chiesa” -, e nello specifico “della cristianità italiana”, “per una lunga tradizione di pace nel Paese, per una cultura pacifica e per la vicinanza al Papa, rara voce di pace del mondo”. “Quello che possiamo fare oggi è pregare ma anche agire: la pace si costruisce nelle nostre città, dove vivono i poveri, i feriti dalla violenza di una società esclusivista. Viviamo nel locale ma il mondo globalizzato ci chiede di guardare ciò che accade più lontano, di informarci, di essere solidali e avere opinioni, che possono pesare: siamo interconnessi, e dunque o periremo tutti o vivremo insieme”.
“La pace – ha concluso – è nelle radici della Chiesa, che si impegna da sempre per creare pace e unire, relativizzare le divisioni, accogliere, disarmarsi e disarmare, andare incontro ai poveri, guidare la gente a una visione di bene comune. Anche l’Italia ha un ruolo rilevante, perché favorisce la pace nel mondo ed è attiva per accogliere e integrare chi arriva da altri Paesi: ha una sua forza, creatività, storia, umanità che non vanno fatte morire”.
Riccardi era stato introdotto da monsignor Michele Tomasi, vescovo di Treviso, che ha evidenziato il tema dell’impegno per la pace e la rilevanza attuale “del sogno di Giovanni XXIII”. Alla fine, Tomasi ha auspicato che venga accolto l’appello di azione dei cristiani rivolto da Riccardi.
All’inizio della serata erano intervenuti anche Luigi Latini, direttore della Fondazione Benetton e docente di Architettura del paesaggio all’Università Iuav di Venezia, che ha presentato il progetto “Il bosco che ancora non c’è”, installazione in piazza del Duomo di Treviso il 6 e 7 maggio; e don Davide Schiavon, per le iniziative dei 50 anni della Caritas Tarvisina.
La 19esima edizione del Festival Biblico, che si articola attorno al filone tematico Genesi 1-11, si svolgerà a Treviso con varie proposte fino al 7 maggio e un’ulteriore iniziativa il 28 dello stesso mese; tra il 12 e il 14 maggio arriverà a Vittorio Veneto.
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