Dal Kenya a Città del Capo in bici. La storia di Alessandro Barbisan: “Il vero viaggio è quello dentro noi stessi”

Pole Pole” è il titolo del libro del 45enne trevigiano Alessandro Barbisan nel quale sono presenti racconti e diari di tre viaggi “lenti” attraverso l’Africa, dall’Uganda fino a Città del Capo.

In lingua Swahili, “Pole Pole” significa “Piano Piano” ed è riferito alle modalità di viaggio che ti permettono di apprezzare ogni istante del percorso, soprattutto gli incontri con le persone del posto.

Nel 2018 Alessandro ha affrontato il suo terzo viaggio nel continente africano, durato cinque mesi, con una bici usata.

Nel 2017 aveva fatto un primo pezzo di strada da Mombasa in Kenya fino a Dar es Salaam in Tanzania dove, purtroppo, è stato derubato del passaporto e della carta di credito.

“Sono rimasto quasi un mese in Tanzania – racconta Alessandro -, approfittandone per studiare lo Swahili a Zanzibar visto che non potevo lasciare la Tanzania. In realtà, la mia meta avrebbe dovuto essere Pretoria in Sudafrica per trovare un amico ugandese che avevo conosciuto nel mio primo viaggio in Africa del 2015. Sono tornato a casa 8 mesi e ho fatto la stagione lavorativa in Inghilterra. Poi sono tornato nel continente africano perché non volevo che mi restasse quel brutto ricordo. Ho ripreso la bici, che avevo lasciato lì da alcuni amici conosciuti dopo il furto, e sono ripartito per raggiungere Città del Capo da Mombasa”.

“Nel 2010 – continua -, durante una pratica di Capoeira, avevo conosciuto una ragazza. Con lei è nata l’idea di viaggiare e siamo partiti grazie ad un sito che ti permetteva di lavorare alla pari in giro per il mondo. Siamo giunti a Madeira, poi siamo andati in Turchia, in Austria e in Germania. Dopo poco tempo abbiamo affrontato un secondo viaggio e abbiamo fatto per due settimane i pastori in Austria. Poi siamo andati in Germania e, dopo un po’, lei ha trovato un lavoro in Islanda, dove siamo rimasti sei mesi”.

Dopo essere tornati a casa, hanno organizzato un viaggio di sei mesi con i mezzi pubblici in America Centrale, raccogliendo circa 3 mila dollari per famiglie povere, bambini e disabili del territorio.

“Nel 2015 è finita la mia storia con lei – prosegue -. Dopo un po’ di tempo ho deciso di partire per l’Uganda. Con il mio libro voglio lanciare almeno tre messaggi. Prima di tutto ci tengo a dire che il mondo è molto più bello di quello che pensiamo. I vari popoli, nonostante le diversità, sono legati dalle stesse basi umane. Ovunque possiamo sperimentare un senso di casa e le persone, soprattutto se prese singolarmente, sono meravigliose. Il secondo messaggio è che ognuno di noi ha risorse personali, capacità e talenti che magari non pensa di avere. A volte li sfioriamo, ma spesso non abbiamo il coraggio di svilupparli. Questi aspetti vanno indagati nel modo a noi più consono, nel mio caso con il viaggio”.

“Siamo molto più luminosi di quello che crediamo – aggiunge -. Per me trovare la nostra luce e donarla al mondo è una cosa bellissima. Durante i miei viaggi ho scoperto tanti talenti, altri li ho sviluppati o confermati. Il terzo messaggio che voglio lanciare è che ognuno di noi, ovunque vada, si trova a doversi confrontare con se stesso e con i propri limiti, paure e anche parti oscure. Questi vanno accettati e non dobbiamo scappare per non vederli. Dobbiamo ascoltarci e conoscerci di più. Con il viaggio ho tolto tante sovrastrutture e preconcetti, ma soprattutto ho capito che il vero viaggio è dentro di noi“.

Alessandro non ha nascosto la difficoltà legata al fardello da occidentale che spesso ci portiamo dietro nell’incontro con popoli differenti.

“In Africa – racconta – ho sempre cercato di essere il più neutro possibile. Arrivavo in bicicletta nelle città o nei villaggi di notte, penso al caso del Malawi con le montagne che si vedevano solo tramite la luce della luna, e mi presentavo alle persone con grande apertura e cordialità. In molti si stupivano che un bianco si trovasse così a suo agio tra di loro. L’ospitalità, la gioia, il sorriso e l’allegria degli africani sono il ricordo più bello che mi sono portato a casa di questa esperienza. Loro hanno poco o niente e cercano di darti tutto. Sono capaci di trasmetterti una gioia che qui da noi facciamo fatica a sperimentare”.

“A volte in Italia o in Veneto troviamo un’energia bassa – conclude -, forse a causa del sistema, del modo di vivere e in parte anche del clima. La vera sfida è provare a riflettere sul perché popoli come quelli africani sono felici con poco e provare ad esserlo anche qui. Dal 2018 chiedo sempre alle persone come stanno ‘realmente’, per esempio anche al barista che mi serve il caffè. Con questo cerco di portare una scintilla di connessione con la gente, togliendo il ruolo che molti di noi devono assumere e partendo dal fatto che, prima di tutto, siamo degli esseri umani”.

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata – Alessandro Barbisan).
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