Giacomo Martinetti, nato a Verbania nel 1957, ha scoperto la pittura in un ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere dove, fra il ’96 e il 2012, ha frequentato l’atelier di Silvana Crescini.
Le sue opere, che da oltre vent’anni girano il mondo fra mostre ed esibizioni, sono approdate nella sala Foffano del Museo di Santa Caterina dove saranno visibili fino 25 giugno nell’ambito della mostra “Stand Alone”, curata dalla stessa Crescini. L’esposizione rientra a sua volta nel programma del festival “Robe Da Mati”, realizzato dalla cooperativa sociale trevigiana Sol.Co. in collaborazione con il Comune e che da sette edizioni accende i riflettori sul tema della salute mentale.


Le opere di Giacomo, espressione dell’“outsider art”, l’arte degli ultimi, invitano a guardare oltre lo stigma della malattia psichiatrica, per soffermarsi sull’unicità dell’individuo-artista, oltre l’etichetta di “malato mentale”.
Al primo sguardo, ciò che colpisce delle tele di Giacomo sono i grandi occhi celesti che quasi gridano: “Guardami, io esisto!”, entrando subito in relazione con l’osservatore. Colori accesi, linee nette e contrasti sono i tratti caratteristici dello stile di Giacomo. “| miei volti – racconta – non hanno un titolo e sono tutti dipinti in modo molto preciso con gli acrilici. Sono fatti con colori vivaci, che scelgo per dare un’espressione seria al volto. Faccio sempre gli occhi grandi, con la pupilla, proprio per guardare le persone che guardano il mio quadro“.


“Appena arrivato nella struttura Giacomo non comunicava con nessuno – spiega Silvana Crescini, che fin da subito ha compreso il grande potenziale espressivo dell’artista di cui da anni segue l’attività e cura le mostre – . Non si interessava alle attività offerte dall’Istituto, preferiva starsene tutto il giorno da solo, in compagnia dei suoi taccuini a quadretti dove disegnava forme geometriche con la biro. Una volta entrato nell’atelier, man mano ha scoperto la vocazione per il disegno, fino a farne lo scopo della sua vita. Dopo un periodo di composizioni astratte si è dedicato alla pittura dei volti, che valgono come una sorta di autoritratto inconsapevole dove spiccano i grandi occhi celesti, come i suoi”.
Oltre alle tele, al Museo di Santa Caterina sono in mostra una serie di lettere che Giacomo ha inviato negli anni ai grandi della Terra, dalla Regina Elisabetta al presidente degli Stati Uniti Regan. Attualmente l’artista risiede in una comunità protetta in Piemonte, dove continua a disegnare.


Fra le cinquanta opere esposte in sala Foffano, vanno citate anche quelle di Agostino Goldani (1915-1977), anch’esse oggetto di una recente riscoperta grazie all’attività di Silvana Crescini.
Goldani si avvicinò alla pittura per caso, recuperano casualmente dei colori in un ripostiglio, e trasformandoli in un mezzo di espressione della propria solitudine segnata dal disagio psichico sviluppato in seguito ai tramatici bombardamenti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dietro ai suoi disegni, realizzati su centinaia di cartoncini, ritagli di scatole di detersivi e cartoline, si trova la scritta “arte disperata”. Morto in un ospedale psichiatrico a Brescia nel ’77, oggi i disegni di Goldani fannovibrare il mondo interiore dell’osservatore, stimolando una riflessione perfettamente in linea con il titolo della mostra a Treviso: “Stand Alone”.


“Stand Alone – spiega Igor De Polo, direttore artistico di “Robe da Mati” – significa essere isolati, ma allo stesso tempo unici. Giacomo Martinetti e Goldani qui si rivelano in tutta la loro unicità, come dei numeri primi, che hanno caratteristiche uniche, ma che rimangono divisibili solo per se stessi”.
“Il nostro festival nasce nel 2017 – commenta in merito alla mostra Luciana Cremonese, presidente della cooperativa Sol. Co. – quando la cooperativa ha compiuto 25 anni. Allora abbiamo deciso di dedicarci all’arte, quale mezzo attraverso cui le persone con problemi di salute mentale possono esprimersi e mettersi in relazioni con gli altri. Noi parliamo di ‘salute’ infatti, non di malattia mentale, invitando ad andare oltre lo stigma per soffermarsi sulle persone come Giacomo e Goldani che entrano in questo Museo come artisti, e non come malati mentali”.
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