Solitamente, se si pensa all’arte pittorica veneziana del Settecento, il primo nome che viene è in mente è quello di Giovanni Antonio Canal (1697-1768) detto Canaletto. Il grande realismo che traspare nei suoi quadri ancora oggi stupisce, affascinando gli esperti quanto i semplici appassionati. Ciò perché rientra appunto nel vedutismo, genere pittorico diffuso soprattutto nella nostra penisola e in particolare nella città lagunare nel XVIII secolo, che attraverso l’uso di metodi e strumenti scientifici, era finalizzato a riprodurre la realtà nel modo più vero possibile.
Anche Treviso, all’incirca nel medesimo periodo, non mancò di avere personalità artistiche di una certa rilevanza, ciò nondimeno solamente un nome può annoverarsi come il vedutista trevigiano per eccellenza: si tratta di Bartolomeo Coghetto (1707-1793), meglio conosciuto come Medoro. Egli fu tipico esempio di mentalità aperta a più campi di studio e/o di ricerca, come la musica e la botanica.
Ad oggi, ben pochi trevigiani sono consapevoli di passare a pochi metri da dove riposavano le sue spoglie mortali, poiché la lapide con l’iscrizione funebre è murata sulla parete laterale del Battistero del Duomo, vicino alla scalinata, senza che nessuna indicazione o targhetta la ponga in evidenza. I caratteri latini epigrafici in essa scolpiti si riducono a recare il nome dell’illustre scomparso, l’essere stato canonico, e l’anno della sua morte. La riscoperta di Coghetto come pittore, dopo il lungo oblio ottocentesco, è avvenuta solamente dalla seconda metà degli anni venti del Novecento da parte del critico d’arte trevigiano Luigi Coletti (1886-1961), dopo che già un primissimo studio era stato fatto da Luigi Bailo (1835-1932) sul finire del secolo XIX.
Ad ogni modo i suoi sette dipinti, conservati nella Biblioteca Comunale e al Museo Civico (dopo l’acquisto fatto dal Comune di Treviso nel 1951), sono di grande utilità per comprendere la fisionomia della Treviso settecentesca, prima cioè dei cambiamenti significativi avvenuti specialmente dalla metà del XIX secolo. Eugenio Manzato, nel curare un’esposizione dedicata a Coghetto nel 1995, affermò che, basandosi sull’abbigliamento dei personaggi che appaiono in queste vedute, si può con maggior precisione teorizzare il quarto decennio settecentesco l’arco temporale della loro composizione. Diversamente dalle due tavole di Luca Carlevarijs (1663-1730) su Treviso del 1707 e le quattro incisioni di Francesco Zucchi (1692-1764) del 1753, Coghetto va oltre alla rappresentazione di pochi monumenti e mostra delle vere e proprie panoramiche della città, servendosi come Canaletto della camera oscura.
Nello specifico vi sono due quadri che mostrano Piazza Maggiore, che dal 1788 assumerà l’odierna denominazione “dei Signori”. Nelle tele di Coghetto si nota anzitutto il Palazzo Comunale, edificato nel 1217 e che mezzo secolo dopo (1265/8 ca.) venne incrementato con l’inclusione della Torre Civica. In esso, dopo aver ospitato per l’appunto gli organi governativi del Comune di Treviso, sotto la dominazione veneziana si stanziarono i vari uffici della podesteria e la sala delle udienze del rettore, che alloggiava nell’adiacente Palazzo Pretorio innalzato nel 1491. L’intero complesso costruttivo fu, tra le proteste di Bailo, interamente demolito e rifatto tra il 1874 e il 1877, conferendo al luogo le sembianze attuali.
Andando ad osservare gli altri luoghi cittadini raffigurati da Coghetto, c’è la contrada di Santa Margherita con la rispettiva chiesa, la Riviera omonima, il porto sul Sile, Porta San Tomaso (in cui compare l’Oratorio di Santa Maria Piccola demolito nel 1808), un paio di vedute di Piazza Duomo con la cattedrale ancora romanica, e il Cagnan al Ponte de Pria, dove emerge sulla destra un enorme mulino che, portata in alto l’acqua, la immetteva nell’acquedotto distribuendola nelle case e nelle fontane.
(Autore e foto: Davide De Cia).
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