Sono cinque i referendum abrogativi in materia di giustizia (qui il vademecum online del Ministero dell’Interno) che gli italiani sono chiamati a votare domenica 12 giugno in tutta Italia, mentre solo in alcuni Comuni (9 nell’Alta Marca trevigiana) si voterà anche per il rinnovo di sindaco e consiglio comunale).
Sui cinque quesiti referendari si sono ben presto creati due comitati nazionali di idee contrapposte. Al vertice di quello per il “Sì” c’è l’ex magistrato trevigiano Carlo Nordio – secondo più votato allo scrutinio decisivo per l’elezione del Presidente della Repubblica che sancì il bis al Quirinale di Sergio Mattarella lo scorso inverno – al quale abbiamo posto alcune domande.
Carlo Nordio, mentre si parla da un lato di riforma della giustizia e dall’altro dei cinque referendum del 12 giugno, qual è a suo avviso lo “stato di salute” del sistema giudiziario italiano? Cosa propone la riforma per cambiarlo?
“Il significato del referendum va ben oltre il contenuto dei singoli quesiti. In realtà si tratta di un appello al popolo, se sia soddisfatto o meno di questa giustizia. Una sua vittoria, o anche solo una larga partecipazione sarebbe un monito ineludibile per il Parlamento, se non questo il prossimo, per una rivoluzione copernicana, anche costituzionale”.
Se da tempo è in discussione in Parlamento la “riforma Cartabia”, perché gli elettori italiani sono stati chiamati alle urne proprio per parlare di temi giudiziari?
“Intanto diciamo che il referendum non solo è la massima espressione della sovranità popolare prevista dalla Costituzione, ma costituisce l’extrema ratio contro l‘inerzia del legislatore, che però sulla giustizia non ha fatto e non fa nulla. Quanto ai quesiti, è vero che per la loro struttura abrogativa questi referendum sono incomprensibili alla lettura delle schede. Ma è sempre stato così. Quando si è votato pro o contro il divorzio o l’aborto i quesiti erano altrettanto oscuri. Ma se il cittadino si informa, poi capisce benissimo il senso della domanda. E nel nostro caso è assai semplice: se la giustizia penale attuale vi va bene così, andate pure al mare. Se non vi piace, votate si. Quanto alla riforma Cartabia va nella direzione giusta, e infatti il sindacato dei magistrati ha proclamato lo sciopero. Ma è una riforma timida, condizionata da un Parlamento che non ha né la forza né la volontà politica di rimediare alle attuali anomalie”.
Quando sulle testate giornalistiche vengono pubblicate notizie di reati commessi o a processi in corso, tra i commenti più gettonati ci sono quelli che chiedono pene più severe per gli autori dei reati e arresti che non durino solo poche ore. Sono richieste che hanno un minimo di fondamento? Cosa cambierebbe la riforma della giustizia in fatto di severità e certezza della pena?
“In Italia esiste il paradosso che è tanto facile entrare in prigione prima del processo, da presunti innocenti, quanto è facile uscirne dopo la condanna, da colpevoli conclamati. Il referendum mira a evitare che finiscano in galera, come accade ogni anno, migliaia di innocenti che poi lo Stato deve risarcire con milioni di euro. Parallelamente, la certezza della pena dev’esser sacrosanta. Una volta intervenuta a condanna, dev’essere eseguita, naturalmente rispettando la dignità individuale del detenuto come vuole la nostra Costituzione”.
Quanta “cultura giuridica” c’è nella popolazione italiana, comprese le generazioni più giovani?
“Bella domanda. In linea generale i cittadini rispettano le leggi, altrimenti il Paese sarebbe nel caos, e non si può vivere con un Carabiniere ad ogni porta. E’ vero però che lo stesso cittadino è sconcertato dal cattivo funzionamento della giustizia: processi lenti, innocenti dentro e delinquenti fuori, conversazioni private intercettate e pubblicate sui giornali, persone perbene sbattute in prima pagina come mostri o corrotti e poi rivelatesi vittime di errori giudiziari. Questo genera sfiducia nelle istituzioni, e nella stessa giurisdizione. Ma a questo serve il referendum. Votando “sì” mandiamo un messaggio vincolante al Parlamento, che questo sistema deve cambiare”.
A metà maggio si è costituito anche il comitato nazionale per il “No” ai referendum sulla giustizia. Il Comitato, composto da Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Mauro Sentimenti, Massimo Villone, Armando Spataro, Mauro Beschi, Silvia Manderino, Antonio Pileggi, Alfonso Gianni e Pietro Adami, ha nominato come presidente e rappresentante legale Domenico Gallo.
In un comunicato riportato dall’Ansa, il comitato per il “No” sostiene che “i quesiti, proposti dalla Lega e dai Radicali non sono di facile comprensione. Ma soprattutto, anziché migliorare i diritti e le domande di giustizia, esprimono una diffidenza nei confronti del lavoro dei magistrati e del controllo della legalità. Da qui le ragioni del “No” a tutti e cinque i quesiti“.
“Il quesito sulle modalità di presentazione delle candidature dei magistrati per le elezioni del Csm – prosegue il comitato – e quello sulla partecipazione dei membri laici alla redazione delle “pagelle” dei magistrati sono del tutto irrilevanti ai fini di un migliore funzionamento della giustizia per i cittadini. Il quesito sulla divisione delle carriere tra Pubblici ministeri e giudici avrebbe l’unico effetto di allontanare il Pubblico Ministero dalla cultura della giurisdizione, schiacciandolo su un’attività di polizia. Non a caso è un antico cavallo di battaglia della destra berlusconiana. Il quesito sulla custodia cautelare è riferito a tutte le misure sia coercitive che interdittive, e quindi è ingannevole. Esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l’uso delle armi, l’effetto sarebbe quello di impedire la custodia cautelare non solo per chi ha commesso reati gravi, ma anche l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge violento o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona vittima di atti persecutori. Infine il quesito sull’abrogazione della legge Severino è particolarmente odioso perché abroga l’intera disciplina riguardante la decadenza e l’incandidabilità degli eletti condannati con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni”.
Il comitato per il “No” si è definito “aperto alla partecipazione di tutte le persone e lavorerà insieme a quelle forze che vogliono impedire che sia colpita l’autonomia dell’amministrazione della giustizia e quindi l’uguaglianza e i diritti delle persone, impegnandosi dunque perché questi referendum siano respinti dalle cittadine e dai cittadini”.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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