Esiste un luogo del cuore, tra Villorba e Carbonera, nel quale gli animali disabili, vittime della violenza e dell’indifferenza umana, trovano cure, amore e una vita dignitosa.
Il silenzio che circonda ancora la disabilità animale rappresenta l’ostacolo più grande alla diffusione delle corrette pratiche di intervento e adeguata gestione di quattro zampe disabili, grazie alle quali restituire a queste creature non solo la mobilità, ma anche la gioia di tornare a una vita pressoché normale.
Una nobile missione per il raggiungimento della quale, nel 2010, nasce l’associazione “Carrellini per animali disabili” e, qualche anno dopo, il Ceda (Centro per l’educazione alla disabilità animale), volute e gestite da Alessandro Ortolan e dalla moglie Donatella Contiero.
Gli ospiti della casa famiglia che arrivano nel centro alle porte di Treviso, attualmente 16 cani con disabilità motoria o patologie geriatriche e 4 gatti, di cui due disabili, provengono non solo da ogni parte d’Italia ma anche dall’estero. Tutti hanno in comune storie difficili e mostrano sul corpo segni evidenti di violenze e maltrattamenti. Eppure, nonostante i traumi subiti, gli ospiti di Alessandro e Donatella nutrono ancora fiducia nei confronti degli umani.
Accolti dai padroni di casa, abbiamo visitato il Ceda e conosciuto i suoi dolci e vivaci ospiti e le loro storie. A venirci incontro festante insieme al resto della “banda” è Marek, un dolcissimo maschietto di sette anni che arriva dall’Albania. “Marek è rimasto paralizzato quando aveva soltanto due mesi – racconta Alessandro –, era il cucciolo di una ragazza che il fidanzato ha lanciato dalla finestra durante una lite. Viene portato con urgenza in clinica dove avrà diagnosticata la frattura della colonna vertebrale; quindi paralisi degli arti posteriori, perdita di controllo della vescica e comparsa di crisi epilettiche post traumatiche”.

Una sentenza crudele che non priva Marek solo dell’uso delle zampe ma anche dell’amore e del sostegno della sua umana. Piuttosto che occuparsi di lui, l’ex proprietaria di Marek sceglie la soluzione più codarda: la soppressione. Il destino, però, ha altri progetti per questo cagnetto sfortunato: “Durante il ricovero, Marek viene notato da un volontario italiano, un nostro collaboratore, che decide di portare il cane in Italia – ricorda Ortolan-. Con lui abbiamo intrapreso un percorso di recupero psicofisico, in attesa di un’adozione che non è mai arrivata”.
Straziante è la storia di George, dolcissimo meticcio di otto anni che arriva dalla Serbia: “Aveva appena un anno quando è stato massacrato di botte, presumibilmente con un bastone – racconta Alessandro -: alcuni volontari lo hanno trovato agonizzante in un rudere, nel quale si era rintanato esanime in attesa di morire. Trasportato con urgenza in clinica, la diagnosi di George si rivela estremamente complessa: oltre alla frattura della colonna vertebrale se ne evidenzia un’altra scomposta della zampa anteriore destra, che – lasciata senza cure adeguate – viene amputata”.
La mobilità di George è stata gravemente compromessa dalla violenza subita, e oggi questo dolce cagnetto ghiotto di coccole e con un’infinita fiducia nei confronti degli umani vive con una zampa sola.
Storia difficile anche quella di Hope, cagnetta ritrovata alle pendici del Vesuvio dall’Asl campana. Dopo essere stata investita da un’automobile che in seguito all’impatto non si è fermata a prestare il soccorso previsto dal Codice della strada, la randagina ha perso l’uso delle zampe posteriori. “All’epoca dell’incidente Hope aveva tre mesi – spiega Ortolan – e per un randagio con una frattura della colonna vertebrale, secondo i veterinari Asl, non esiste una via diversa dall’eutanasia”. Uno dei volontari del posto, però, decide di provare a strappare Hope da un epilogo tanto ingiusto, e grazie a una staffetta la cagnetta raggiunge la Liguria, dove ha trovato uno stallo temporaneo. “L’assenza di preparazione da parte di coloro che ospitano Hope, però, procura un’infezione delle ferite provocate dall’incidente e la cagnetta rischia di morire per setticemia. Venuto a conoscenza della criticità della situazione – ricorda Alessandro -, decido di partire per la Liguria e portarla a Pavia, dove nel frattempo una signora si era offerta di occuparsi di Hope. Vinta la sua battaglia, la piccola è stata adottata da me e mia moglie”.
La perdita della mobilità degli arti posteriori non è l’unica conseguenza alla quale va incontro un animale con una frattura della colonna vertebrale: anche il controllo del tratto urinario viene compromesso a seconda dell’età in cui si è verificato l’evento traumatico. “Se il trauma si manifesta da cucciolo, l’animale andrà incontro a problemi di incontinenza – spiega Ortolan -, diversamente nell’età adulta sarà necessario praticare la spremitura della vescica, due o tre volte al giorno, per garantire la minzione. E’ importante ribadire che un animale disabile ha le stesse aspettative di vita di uno non disabile”.

Randagi o animali di proprietà, le conseguenze legate alla perdita di mobilità non sono solo fisiche ma anche psicologiche: molti traumi possono generare paura, diffidenza e depressione provocata dall’abbandono subito, com’è accaduto a Teo.
“Era il cane di una giovane coppia vicentina che mi ha contattato chiedendomi un carrellino. Come mia prassi – racconta Alessandro – chiedo di incontrare il cane per capire le reali necessità. Mi accorgo subito che Teo presenta ancora una certa mobilità agli arti e quindi consiglio alla coppia, nella speranza di un recupero, una riabilitazione di 20 giorni, periodo entro il quale si possono già rilevare i reali margini di ripresa”. Recupero che per Teo, però, non c’è stato. Conosciuta la diagnosi, la coppia comunica ad Alessandro e Donatella di non volersi più occupare di lui. “Nei giorni seguenti l’abbandono Teo usciva in giardino con il suo carrellino, raggiungeva il cancello che dà sulla strada e si sedeva lì immobile: aspettava che i suoi umani tornassero a riprenderlo. Vederlo così era una stretta al cuore – ricorda Ortolan –, Teo aveva bisogno subito di una famiglia, dei ritmi di una casa, alla quale era abituato, e del costante contatto umano. E così io e Donatella abbiamo deciso di adottarlo: da quel momento è ospite fisso del nostro letto”.
Ospite del Ceda, nel piano dedicato ai gatti, c’è anche Miracle, tricolorina che arriva da Catanzaro: “Lei è sopravvissuta allo scontro con un’automobile e, trascinandosi con le zampe anteriori, vagabondava per il centro abitato nell’indifferenza generale. La sua fortuna è stata quella di essere notata dalla badante di un anziano che decide di contattarci per chiedere un carrellino. Spieghiamo alla signora che un randagio disabile non può tornare a vivere per strada, con o senza carrellino, a maggior ragione un gatto che per istinto tende ad arrampicarsi e che quindi rischierebbe di farsi del male. Abbiamo quindi deciso di partire alla volta della Calabria per portare Miracle nella nostra casa famiglia”.
Lulù, invece, arriva da molto lontano: una gattina bianca e rossa che è stata trovata in Siria tra le macerie, conseguenza dei bombardamenti, da una volontaria italiana che opera tra Dubai e il Paese arabo. “I traumi di Lulù non sono fisici ma psicologici, i suoi occhi sono tanto stanchi – raccontano Alessandro e Donatella -: è dolcissima, ama il contatto umano e le coccole e questo ci fa pensare che sia vissuta in famiglia ed abbia perso i suoi padroni a causa della guerra”. Arrivata a Venezia con un volo da Dubai, Lulù è ospite del Ceda da più di un mese: “Raramente lascia la sua cuccia e fatica a relazionarsi con gli altri mici, probabilmente in passato è stata respinta e scacciata da altri gatti che come lei pativano la fame. Per Lulù cerchiamo adozione nelle nostre zone”.

Il tema delle adozioni rappresenta infatti il fulcro della missione di Alessandro e Donatella, perché per ogni animale adottato, un altro bisognoso può essere accolto. “Il periodo d’oro per le adozioni dei disabili è stato il biennio 2015/2016, quando siamo riusciti a far adottare 26 cani – racconta Ortolan -, poi qualcosa è cambiato, non ci spieghiamo la ragione, forse per qualcuno si è trattato di una moda del momento. Quello che è certo è che a partire dal 2017 non siamo più riusciti a far adottare i nostri disabili”.
Circostanza che ha ridotto notevolmente la possibilità di accogliere nuovi animali bisognosi. “Da quando la permanenza dei nostri ospiti non ha più avuto le caratteristiche di una convalescenza di due o tre mesi, propedeutica al ritorno in famiglia, il loro stallo è diventato permanente. Gli animali, mi preme ribadirlo, non sono oggetti. Quando un cane o un gatto superano l’anno di permanenza nella struttura non possono più essere adottati, perché da noi hanno trovato un equilibrio affettivo. A differenza dei canili, gli animali che noi accogliamo – precisa Alessandro – vivono costantemente in comunità e hanno con me e mia moglie un’interazione quotidiana. Non esistono feste o compleanni: siamo sempre insieme a loro, come una famiglia”.
Accoglienza e gestione dipendono anche dalla presenza di volontari: “Un aiuto fondamentale che ci ha permesso per un certo periodo di accogliere qualche animale in più, al di là della stretta corrispondenza con gli adottati. Purtroppo, parallelamente al calo delle adozioni, anche i volontari sono andati via – raccontano con rammarico Alessandro e Donatella -, e questo ha compromesso la possibilità di garantire l’accudimento di un numero più ampio di disabili”.
Il Ceda, infatti, è a tutti gli effetti una preclinica che pone in essere interventi di stabilizzazione medico veterinari: “Il nostro obiettivo è quello di gestire il momento pre e post chirurgico. Un passaggio estremamente delicato rispetto al quale proprietari e adottanti mostrano significative difficoltà. Fino a qualche hanno fa, a causa di un’informazione inadeguata, l’80% degli animali disabili adottati venivano sottoposti a eutanasia – spiega Ortolan -. Il successo della nostra missione è dato dall’esito positivo delle adozioni gestite dal Ceda, perché gli animali adottati, da proprietari formati e preparati, hanno vissuto una vita serena sino al sopraggiungere della vecchiaia. La nostra assistenza, inoltre, non si ferma all’adozione: affianchiamo il cane o il gatto adottato per tutta la vita, pronti a intervenire in caso di difficoltà, fornendo anche supporto psicologico agli adottanti e manutenzione e riparazione del carrellino”.

Diversa è la storia dell’associazione “Carrellini per animali disabili”, nata nel 2010 con lo scopo di donare a rifugi, canili e privati, che non potevano permettersi l’acquisto di un carrellino professionale da 600 euro, uno personalizzato sulle misure dell’animale il cui costo fosse solo quello delle materie prime. “Il primo a indossare un nostro carrellino è stato Fiore, un cane di Chioggia rimasto 6 anni senza poter camminare. Due anni dopo la nostra nascita – racconta Alessandro -, la richiesta dei carrellini è esplosa e questo ha fatto storcere il naso a molte aziende specializzate. Circostanza che insieme alla mancata comprensione della nostra missione da parte delle persone, che mai è stata quella di ottenere vantaggi economici o commerciali, ci ha portato a chiudere l’associazione”.
Oggi la paura più grande di Alessandro è che anche il centro di educazione alla disabilità possa chiudere, se non subentreranno volontari disponibili a portare avanti la sua opera. “Donatella e io abbiamo 60 anni, ci siamo messi in gioco e affrontato tanti sacrifici per prenderci cura dei disabili a quattro zampe, ma siamo stanchi e soli. Abbiamo bisogno di forze nuove che credano in quello che facciamo e amino gli animali, ma non troviamo nessuno disposto ad aiutarci: nessuno vuole dedicare il proprio tempo a queste creaturine, neppure per una passeggiata. Il nostro sogno – concludono Alessandro e Donatella – è quello di trovare un successore, qualcuno al quale lasciare la struttura affinché si continui a salvare e a dare dignità agli animali più sfortunati”.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
(Foto: Qdpnews.it e per concessione di Alessandro Ortolan)
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