Dietro alla bottega dei Varisco, a Treviso, l’acqua scorre in una canaletta cullata dalle fronde dei salici: affacciandosi sull’acqua da un piccolo terrazzino, Marco, terza generazione di mastri incisori di cristalli, ci racconta quante volte da giovane avrebbe voluto prendere le sue opere imperfette e scagliarle lì dentro. All’interno della sua bottega, oltre alle centinaia di opere esposte, dai bicchieri ai grandi vasi colorati, giacciono quegli stessi macchinari che vennero utilizzati da suo padre Italo e da suo nonno Varisco, ancora funzionanti come allora.
Torni, frese e lucidatrici che, se potessero parlare, racconterebbero di una storia fatta non soltanto di successi, ma anche di fatica e tempo, speso nel perfezionare con ostinazioni pochi singoli gesti: attrezzi che hanno perfezionato prodotti unici destinati ai Musei Vaticani, a Bill Clinton, al re di Spagna, alle Olimpiadi e al sindaco di New York.
Con lui parliamo di giovani, di ostinazione ma anche della difficoltà di trovare un dialogo tra chi può insegnare e chi deve trovare la propria strada.
Marco Varisco ha iniziato ad approfondire quel complicato mestiere di famiglia quando ha compiuto dieci anni. Non era molto bravo a scuola – dice di sé – e la sua fase di studio è arrivata tardi, quando ha cominciato a comprarsi i libri e a viaggiare. La città di Treviso è sempre stata una componente importante della sua visione artistica, anche se ritiene importanti anche le influenze internazionali: spesso ne ritrae alcuni elementi nelle proprie incisioni sul cristallo. “Quando ero bambino era quasi un divertimento. Ho imparato con il nonno Varisco una tecnica, poi con il tempo ho sviluppato la mia, che comprendeva anche un approccio più moderno e una predilezione per le opere particolari”.
Con il tempo e non poca ostinazione, Marco è stato in grado di creare un prisma circolare di cristallo, oggi esposto a Beijing, che ha permesso uno studio scientifico approfondito sulla rifrazione della luce, e uno specchio, il “Venetian Mirror”, che riflette le immagini soltanto quando sono immobili. Per Varisco, già conosciutissimo a Treviso vista la tradizione artigiana in famiglia, la vera svolta, capace di segnare forse anche un significativo stacco dalla pura tradizione, è arrivata nel 2014, quando in una mail gli viene chiesto di esporre al Guggenheim di New York. “Per me è stato come per un atleta vincere le Olimpiadi” commenta.
“Anche se avessi dieci figli (e non ne ho) potrei dire che nessuno di loro avrebbe mai intrapreso questa strada, – ci risponde, quando gli chiediamo di come trasmettere ai giovani la passione per la manualità – Sono troppo distratti da altre cose. Sono estremamente intelligenti, forse più di quanto lo fossimo noi, però prendono in considerazione altri lavori, che a mio avviso però non sono lavori. Sarà anche stata colpa della nostra generazione, che non ha insegnato loro la manualità, ma è anche vero che il modo di lavorare è cambiato radicalmente. Prima di tutto non esistono strutture che possano veicolare i ragazzi a strutture come queste. Poi c’è il problema dei contratti di lavoro: per assumere una persona e capire se è capace o meno di lavorare, se ha voglia oppure no, non ci si mette un solo anno, ma nel frattempo al datore di lavora costa a dismisura. Tutto è aumentato a dismisura”.
“E infatti mancano falegnami, manca chi batte l’argento, manca chi lavora il vetro – continua Marco – Poi è vero ci sono delle eccezioni: Pietro, che lavora con me da 25 anni, ha imparato perché aveva fame di imparare. E io dico che molti altri hanno lo stesso appetito, ma purtroppo non riusciamo a colmare queste situazioni e queste difficoltà. Non è per niente facile, specie per questi lavori così di precisione”.
Se è vero che “la realtà sta nella fantasia dei folli”, come si legge all’interno della bottega dei Varisco, allora un pizzico di questa caratteristica può aiutare in un mestiere che ha a che fare con la creazione: mentre lavora il vetro, lo lucida e lo risciacqua, Marco commenta quest’affermazione dicendo che il termine vuol dire tante cose: “Un’auto può essere in folle e quindi non marciare in avanti, ma un folle potrebbe anche essere incontenibile: è un termine che mi piace per la sua relatività. Se un pizzico di follia sul lavoro è quel qualcosa in più che ti fa osare e superare i limiti beh, io ci provo”.
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it