Si entra con ossequio nella bottega di Giuseppe Vanzella, in via Inferiore a Treviso, come in un museo o in una mostra di oggetti d’arte: ci si sente osservati, quasi come se gli autori scomparsi e perlopiù dimenticati di quei trentamila libri sugli scaffali potessero in qualche modo giudicare il nostro modesto patrimonio di lettura. Un’atmosfera che apprezzano gli amanti della ricerca, perché scorrendo un dito sui volumi esposti, è possibile trovare tesori nascosti dietro una copertina anonima, sopravvissuta al passare del tempo per un secolo o molto di più.
In realtà, la collezione di Vanzella è molto più vasta e conta quasi il triplo dei volumi presenti in negozio: centomila opere, molte delle quali talmente rare o prestigiose da – paradossalmente – non risultare ancora interessanti per il mercato, anche per una questione di valore troppo elevato. Al di là del commerciale, Giuseppe Vanzella porta avanti questo mestiere, che è complicato e guarda a una nicchia estremamente limitata di clienti, anche per qualcos’altro: una passione personale che gli è nata quando era ragazzo e che continua ancora oggi. Una curiosità che ha scavato tanto nelle pagine e che, oggettivamente, consente ad alcuni libri preziosi di sopravvivere agli sgomberi e ai traslochi, quando invece magari sarebbero stati gettati nel bidone della carta.
L’antiquario Vanzella, che a Treviso città è l’unico a riuscire a portare avanti quest’attività con successo, tra mille difficoltà, è anche un autore e saggista: ha scritto molto sulla fotografia primordiale, arrivando a collezionare volumi di quelli che sono stati i primi scatti della Marca. Capita spesso che esponga i suoi volumi in giro per la città, così da far riscoprire ai trevigiani il profumo e la varietà dei vecchi libri e delle vecchie riviste: nella sua bottega, infatti, vi sono anche molte raccolte tematiche, dal vitivinicolo alle ricette di cucina degli anni Trenta. Accomodandoci tra libri che valgono alcune migliaia di euro, tuttavia (volutamente) invisibili tra gli scaffali, chiediamo a Giuseppe Vanzella quali siano i segreti del suo mestiere.
Quali libri ci sono qui dentro e perché?
In negozio ci sono circa 30mila libri, ma nei magazzini il numero lievita a 100mila, credo. Come fosse una biblioteca di buon livello, possiamo dire. Ma non è la quantità che fa la differenza, è la qualità, almeno secondo me. Questo negozio svolge un’attività di ricerca di libri antichi, rari, anche introvabili qualche volta, oppure possono essere legati ad argomenti specifici interessanti. L’imprinting che ho voluto dare è sempre stato quello di seguire la mia indole: cioè avere libri che a me interessano, per poi avere una clientela appropriata con cui dialogare.
Lei ne ha letti molti?
Da giovane soprattutto, ne ho letti moltissimi. Devo dire che ai tempi della scuola non è che studiassi moltissimo. Non ero un somaro, ma uno che aveva altre cose da fare. Poi però a casa mia ho letto tantissimo: specialmente ho letto di narrativa, logica e poesia, perché sono gli argomenti che interessano ai giovani per scoprire se stessi nel mondo in cui sono immersi.
Non ha cominciato subito con i libri antichi…
No, ho cominciato a lavorare in un laboratorio di cornici, seguendo le orme di mio padre. Lui era un intagliatore. Io nel 1977 ho preso in mano l’attività e per un po’ di tempo ho fatto cornici: poi ho scoperto che era di moda sostituire le cornici del ‘700 e dell’800 con quelle moderne e allora mi sono messo a vendere le cornici antiche che mi lasciavano. A un certo momento il mio interesse per il libro ha avuto la meglio e mi sono messo a fare questo mestiere.
Perché qualcuno dovrebbe investire in un libro antico?
L’interesse per il libro non è né legato alla bellezza estetica né all’epoca ma bensì alla risultante di tutti questi contenuti: ci sono libri del Cinquecento che hanno un valore commerciale di cento euro, perché non sono ricercati, e c’è per esempio “Casarsa” di Pasolini che, è un solo fascicoletto, che vale da sei a ottomila euro. Questo perché un libro non è mai solo quello che c’è scritto: un libro è la risultante di tutto un insieme di forze e di professionalità che va dall’editore, al grafico, al tipografo al rilegatore. Tutti coloro che concorrono nel costruire l’oggetto libro, compreso il contesto storico, contribuiscono al suo valore.
Ma ci sarà anche chi dice “a me basta leggerlo”?
Certo e va benissimo. Però se devo essere sincero amo di più confrontarmi con con i clienti che cercano anche cose che io ritengo ancora più importanti: i bibliofili, quelli che vogliono l’oggetto libro per la sua importanza. Qualche volta mi chiedono “che differenza c’è tra la prima e la seconda edizione?”. La risposta è facilissima: la prima edizione è stata scritta quando ancora quel libro non c’era. La seconda è una copia, scritta quando quell’opera esisteva già.
Nel nostro Paese ci sono sufficienti bibliofili?
In Italia è un settore un po’ trascurato, cioè un seguito c’è: Umberto Eco era uno dei massimi esponenti. Ma non come negli altri paesi: in Germania, in Inghilterra e in Francia soprattutto, senza dimenticare gli Stati Uniti, dove anche le prime edizioni degli autori del secondo Novecento hanno valori inavvicinabili.
Quali sono stati i volumi più antichi e preziosi che ha avuto?
Ho avuto qualcosa anche del periodo prima della stampa a caratteri mobili di Gutenberg cioè l’autentico manoscritto: quando era una copia unica, che poi veniva copiata. Quello che è interessante è che dalla metà del Quattrocento in avanti, il libro antico mantiene anche diciamo una valenza estetica. Le legature e le caratteristiche di stampa, le modalità espressive per costruire un libro sono cambiate in continuazione nel tempo, per cui è possibile attraverso la costruzione di una storia del libro stampato riconoscere le varie epoche.
Oggi però sono meno le persone che vogliono costruirsi una biblioteca di pregio.
Sì, anche perché non solo la lettura ma anche gli argomenti sono venuti meno: bisogna pensare che un tempo i libri religiosi proliferavano, adesso in una società molto più laicizzata e secolarizzata il libro religioso non ha più l’interesse che aveva. Sono state distrutte intere biblioteche, contenenti lo scibile di migliaia di persone che hanno sacrificato la propria esistenza per inseguire concetti teologici. Un tempo poi avere una biblioteca sostanziosa a casa era un segno di prestigio e di conoscenza, quasi come avere un’enciclopedia a casa. Oggi internet sembra sostituire totalmente questa necessità.
Diceva prima che lei non è propriamente ottimista sul futuro del libro…
È logico che la grande trasformazione tecnologica che stiamo vivendo porterà un abbattimento dei lettori sul supporto cartaceo. Ci saranno sempre quelli che leggeranno sul tablet o sul computer: certo che leggere un libro su un telefonino mi sembra un po’ complicato e per cui penso che gran parte degli umani, diciamo così, che usano quasi solo i dispositivi elettronici per leggere, semplicemente, presto non saranno più dei lettori.
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