Il controllo dei flussi migratori, il valore della solidarietà, il modello di accoglienza del Veneto, la libera scelta sul fine vita, la rimodulazione dei reati a carico dei pubblici amministratori, i preconcetti sulla ricchezza e il capitalismo, il nuovo patto sociale con i giovani (“bisogna smettere la narrazione che l’Italia è un paese dove non hanno un avvenire”) e la necessità di frenare gli sprechi alimentari di una società opulenta che manda in discarica 600 mila pasti al giorno.
Sono i temi al centro di un dialogo serrato tra il governatore Luca Zaia e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che hanno catalizzato l’attenzione del pubblico che ieri sera ha gremito il salone di Palazzo dei Trecento, per il battesimo trevigiano del secondo libro che il presidente della Regione Veneto ha pubblicato con Marsilio Editore, “I pessimisti non fanno fortuna. La sfida del futuro come scelta”, in libreria da martedì scorso.
La presentazione è stata organizzata dall’associazione “Oltre le barriere” e ha consentito ai due politici trevigiani “eccellenti”, l’uno già ministro dell’agricoltura e l’altro ex procuratore fresco di nomina nel governo Meloni, di confrontarsi sugli spinosi temi che Zaia ha analizzato in nove capitoli, “con molto pragmatismo” come sottolineato da Nordio, partendo dalla rievocazione del buon tempo antico, anche se Treviso, come il resto del Veneto, era zona depressa e terra di emigrati prima di trasformarsi nel faro economico del Nordest.
“Non eravamo la comunità ricca di oggi, ma siamo riusciti a riscattarci con tenacia, grinta e talento. Alcuni nostri imprenditori hanno storie uniche di forza di volontà e determinazione”, ha commentato Zaia, chiarendo che il titolo del libro deriva da una frase che egli ama molto ripetere (solo i pessimisti non fanno fortuna), da cui è stata tolta la parola “solo” per motivi grafici: “Non si può dire che i veneti siano pessimisti. Lo racconta la loro storia: i veneti hanno conosciuto l’emigrazione, ma hanno fatto grande questa regione. Quindi direi che non sono pessimisti, decisamente no. Non sono i Malavoglia”.
Pescando nella sua memoria di bambino, ragazzo e amministratore pubblico, rievocando anche le vicende familiari per farle diventare una narrazione collettiva, Zaia nella sua ultima pubblicazione (che segue di un anno “Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all’autonomia”), ha fotografato l’Italia, la sua attualità più spinosa e i mutamenti del presente, sottolineando il particolarissimo momento storico funestato da due “cigni neri”: la pandemia e lo scoppio di una guerra. Incalzato dalle riflessioni del ministro Nordio su temi che entrano anche nell’agenda di governo, il presidente del Veneto ha detto la sua sul “tabù” del fine vita, che affronta nel libro partendo dal caso Englaro: “A questo argomento ho dedicato il capitolo intitolato “Libera scelta in libero Stato”.
“Penso che noi istituzioni abbiamo l’obbligo di garantire il massimo delle cure, il massimo dell’assistenza psicologica e dell’assistenza economica ai malati più gravi – ha proseguito Zaia -. Dopo di che, dobbiamo rispettare la scelta del malato terminale se vuole premere il pulsante. Tra l’altro c’è una sentenza della Corte Costituzionale che afferma che, fatto tutto ciò, sia solo sua la decisione finale. E’ un sintomo di civiltà. La politica deve garantire le libertà e non limitarle“.
“Ho conosciuto Stefano Gheller, bassanese di 50 anni, dall’età di 15 anni in carrozzina, affetto da malattia genetica e attaccato ad un respiratore – ha continuato il governatore veneto -. Stefano ha avuto l’autorizzazione per il suicidio assistito, ma lui vuole vivere, ha un progetto di vita. Però giustamente Stefano dice: “Se mai arrivasse il giorno in cui non ci sarà più modo di tornare indietro e di recuperare, voglio poter decidere”. Questi temi non hanno un colore politico, sono trasversali a tutti”.
“Il fine vita – ha rimarcato il ministro Nordio – è una questione che andrebbe affrontata senza pregiudizi, tenendo presente quelli che sono gli indirizzi della Corte Costituzionale, che su questo ha messo dei paletti molto chiari, che però devono essere ancora definiti a livello legislativo. E anche su questo sarà necessario lavorare”.
Sulla scia delle recenti tensioni tra Italia e Francia, è stato affrontato anche il nodo sbarchi e ricollocazioni. “C’è bisogno di un’immigrazione controllata, guidata e non disordinata”, ha fatto presente il ministro della Giustizia. “Siamo arrivati al limite della sostenibilità dell’accoglienza, abbiamo superato la soglia del 10 per cento”, gli ha fatto eco il governatore, che ha ricordato il modello d’accoglienza del Veneto, con i suoi 550 mila immigrati integrati con un progetto di vita. Altro tema d’attualità emerso nell’incontro è stato quello della revisione del reato d’abuso d’ufficio (articolo 323 del Codice penale), per liberare i sindaci dalla “paura della firma”, che “congela” gran parte della macchina amministrativa del paese.
Della riforma il governo dovrebbe parlarne entro gennaio, ma il ministro Nordio ieri ha anticipato il suo pensiero al cospetto di Zaia e di tanti amministratori pubblici presenti: “Ci sono dei comportamenti che non sono tipicizzati nella norma, che io ho definito evanescente, proprio perché la struttura di un reato deve identificare bene quelli che sono gli elementi del reato, cioè il comportamento, il risultato e l’elemento psicologico. E’ un discorso molto tecnico, ma l’evanescenza del reato comporta un’assoluta incertezza della sua applicazione. Tanto è vero che molte, o quasi tutte, le indagini che partono da questa ipotesi delittuosa, si concludono nel nulla. Quindi si è perso tempo, denaro e risorse che si sarebbero potute impiegare in modo più fruttuoso”.
“L’abuso d’ufficio è, comunque, un reato da rimodulare come tutti i reati contro la pubblica amministrazione. Ovviamente su questo si farà un ampio dibattito nelle sedi opportune – ha concluso Nordio -. Cominceremo noi a livello ministeriale e abbiamo già le idee molto chiare. Però le leggi le fa il Parlamento, che è sovrano nel decidere. Ma è sicuro che saranno tutti reati rimodulati in modo radicale, proprio per eliminare quella che si chiama ormai la ‘paura della firma’, che paralizza l’amministrazione e ha un costo sociale, economico e produttivo spaventoso. Perché il cittadino davanti all’inerzia della pubblica amministrazione non produce, non agisce e tutto questo ha ricadute negative proprio sull’economia che oggi dovrebbe essere rilanciata”.
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