I Riccati: cultura trasmessa di padre in figlio

Sebbene siano numerosi i nomi di personalità o di gruppi famigliari che nel Settecento illuminarono la cultura trevigiana con la loro intelligenza, al giorno d’oggi molti di questi sono caduti nel dimenticatoio, sopravvivendo al massimo nei nomi di vie o di istituti.

È il caso dei Riccati, la cui fama fu tale da riuscire a valicare con facilità i confini del Trevigiano e della Serenissima. Originari di Soligo, si mossero a Castelfranco alla fine del XIV secolo. Concentrandosi nel Settecento, la prima figura eccelsa fu quella di Jacopo Riccati, nato nel 1676 a Venezia, appena un anno dopo che il Principe Farnese di Parma aveva concesso ai Riccati il titolo di Conti.

L’educazione fu, coerentemente col suo status, poliedrica: oltre alle materie letterarie e scientifiche praticò scherma, ballo e recitazione. A Padova, nel 1694, pur essendo iscritto a giurisprudenza, studiò con assiduità anche i corsi scientifici. Nel 1696 fu celebrato il matrimonio tra Jacopo ed Elisabetta Onigo, contessa facente parte di una delle Casate storiche cittadine. Aldilà dello sposalizio palesemente d’interesse, nacquero ben diciotto figli; la metà di questi morirono ancora bambini, mentre tra i rimanenti ad essere degni eredi in grado di proseguire l’opera di questo protagonista del Settecento trevigiano furono Giordano, Vincenzo e Francesco. Dal 1706 ebbe inizio una lunga e gratificante attività di studio e di ricerca che durò quasi mezzo secolo e che portò il Riccati ad essere conosciuto in tutta Europa. Tra la fitta corrispondenza che egli tessé, figura quella col matematico Leibniz (1646-1716). In tempi recenti Francesco Zanella ha individuato ben cinque ambiti d’interesse del Riccati, a conferma dell’eccezionalità del personaggio: la matematica e fisica, la scienza e la biologia, la storia, la letteratura e la filosofia accompagnata dalla religione.

Nel 1749, morta la moglie, si trasferì definitivamente a Treviso, quasi avvertendo che anche la sua vita stava finendo. La morte lo colse infatti nel 1754, impedendogli di completare un saggio filosofico. I funerali furono solenni e partecipatissimi, celebrati sia a Treviso che a Castelfranco, e alla fine le spoglie furono poste nel Duomo del capoluogo, dove più avanti lo avrebbero raggiunto i figli.

Il figlio Giordano fu certamente il più famoso tra coloro che perseguirono la storia della famiglia. Nacque nel 1709 e studiò nel Collegio San Francesco Saverio di Bologna; indi tornò in famiglia per seguire le lezioni di matematica e fisica impartite dal padre stesso, perfezionata poi a Padova dai Gesuiti. La sua predisposizione ad assimilare e protrarre il sapere matematico portò il padre ad affidargli la corrispondenza scientifica che giungeva da ogni dove. Dopo la laurea, si dovette attendere quasi trent’anni perché uscisse la sua prima pubblicazione. In quei tre decenni affinò la matematica con l’analisi dell’architettura e della teoria musicale. Quest’ultima fu indubbiamente correlata al fatto che egli fu abile violinista e clavicembalista. Instancabilmente, Giordano prese parte come membro perpetuo di numerose accademie del luogo (declinando gentilmente l’invito di altre più prestigiose) e fu insegnante appassionato. Dopo una breve malattia, morì nel 1790, lavorando fino all’ultimo alla sistemazione degli argini di diversi fiumi.

Suo fratello Vincenzo, nato nel 1707, ancora giovanissimo dimostrò grandi doti matematiche e filosofiche, e nel 1726 entrò tra gli Aspiranti al Noviziato di Piacenza. A soli 22 anni passò al Collegio Gesuita di Padova dove insegnò di tutto, dalla grammatica alla matematica, e nel 1741 divenne gesuita lui stesso a Bologna, almeno fino alla soppressione dell’Ordine. La sua vita ordinata e pia, le sue azioni volte a porre i metodi della matematica al controllo delle acque del Po, fu sconvolta dalla suddetta abrogazione dell’ordine dei Gesuiti. Cercò di mitigare la sua amarezza ritornando a Treviso dai fratelli, ma morì poco tempo dopo, nel 1775.

Francesco Riccati infine, ultimogenito di Jacopo, nacque nel 1718 e il suo operato fu l’architettura civile. L’altra sua grande passione fu la poesia, pubblicando periodicamente dal 1744 i suoi versi, talvolta sotto pseudonimo Oristillo Amatunsiaco. La sua morte, nell’estate 1791, estinse di fatto la famiglia, dato che suo figlio Giacomo morì celibe nel 1808.

(Testo e foto: Davide De Cia).
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