Quando la Serenissima prese possesso del Trevigiano, il Montello aveva ancora la ripartizione comunale per cui la sua parte meridionale era di proprietà di Treviso, di varie comunità religiose, e in parte dei Collalto; il lato nord invece era pienamente fruibile dalla decina di paesini (Nervesa, Bavaria, Giavera, Selva, Lavagio, Volpago, Martignago, Venegazzù, Caonada, Biadene, Busco, Ciano, S. Mama) che traevano i benefici dal bosco, dai campi, e i pascoli.
Dopo quasi un secolo però, la situazione mutò radicalmente. Negli anni tra il 1469 e il 1471, si affacciò nell’Adriatico, ancor più prepotentemente, il pericolo turco: a nemmeno vent’anni dalla conquista di Costantinopoli i veneziani dovettero affrontare la numerosa flotta allestita da Maometto II, che nel 1470 conquistò Negroponte. Così l’Arsenale veneziano fu integrato dal novissimo nel 1473, e alla decisione di aumentare le navi in servizio si integrò la costruzione di 25 imbarcazioni “di riserva”, poi incrementate a 100 nel secolo successivo. Ecco che allora la domanda di legname crebbe vertiginosamente, ed il 27 dicembre 1471 Venezia stabilì che il Montello fosse di sua esclusiva proprietà, proibendo tassativamente che i suoi alberi venissero tagliati per farne botti o anche solo alimentare i fuochi.
Dopo l’ulteriore imposizione, il 24 settembre 1488, di destinare alla crescita di roveri diversi campi comunali e privati, dal XVI secolo si inasprirono le pene per quanti trascuravano la tutela del bosco. Di esso divennero responsabili gli stessi abitanti dei paesi attigui al Montello, che non furono di certo accondiscendenti a privarsi di un bene di cui avevano sempre usufruito. Inoltre, al fine di sfruttare ogni spazio disponibile, il 23 luglio 1519 si passò all’abbattimento di tutte le abitazioni (ad esclusione delle religiose) e/o attività lavorative poste dentro il Montello. Le normative non si fermarono: nel 1527 fu eletto il primo Capitanio al bosco, il cremasco Simon Furlan, che, armato, era dotato di pieni poteri per punire chi tagliava alberi senza autorizzazione o non li faceva arrivare velocemente in laguna. Pene severissime furono promulgate anche contro coloro che abusavano del bosco nelle ore notturne. Tra gli altri provvedimenti, è da ricordare la cultura forzata della quercia, la pena di morte (dal 1668) per chi osasse anche solo attraversare il Piave per entrare nel bosco e nel 1788 fu fatta crescere una siepe che assieme al fossato (a sud e ovest) e il Piave (a nord ed a est) creava il confine dell’intera proprietà boschiva.
Bisognerà aspettare la fine della Serenissima perché cominci un disboscamento selvaggio da parte degli abitanti, che mai si erano rassegnati ai divieti veneziani.
Le operazioni di deforestazione avvenivano nel periodo estivo, con vere e proprie squadre di boscaioli capeggiate da degli imprenditori del legname; esse, dopo una prima ed approssimativa pulitura dei tronchi, si premuravano di farli arrivare a valle più celermente possibile con carri o usando le pendenze come scivoli naturali. Quindi il legname arrivava nei punti di raccolta posti nelle immediate vicinanze nei corsi d’acqua e, tagliato con maggiore precisione in tavole, posto nelle zattere che lo avrebbero portato in laguna.
Forse non stupisce che il fiume che più veniva attraversato da queste imbarcazioni fosse il Piave, che con la sua lunghezza attraversa tuttora il Bellunese, il Trevigiano e il primo entroterra dopo il bacino lagunare. Lo storico Walter Panciera ha calcolato che a cavallo tra XVIII e XIX secolo furono 2-3 mila le zattere che all’anno defluivano sul Piave, per un totale di circa mezzo milione di tavole lignee. Fu Falzè di Piave ad essere uno dei principali porti fluviali, accogliendo non solo il legname del Montello ma anche quello del Cadore (partito da Perarolo); Portobuffolè invece sfruttava il Livenza.
(Autore e foto: Davide De Cia).
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