Tamponi, tamponi e ancora tamponi: è questo il dictat della regione Veneto. Roberto Rigoli, direttore della microbiologia dell’ospedale di Treviso e coordinatore delle 14 microbiologie del Veneto, da mesi sta testando e sviluppando qualsiasi test disponibile sul mercato, verificando potenzialità e debolezze dei vari campioni che arrivano da tutto il mondo.
Nel reparto si lavora fino a tardi con l’obiettivo di trovare il metodo più efficiente per testare più persone possibile senza che il margine d’errore diventi rilevante nella raccolta dei dati: per evitare un lockdown generalizzato, l’unica chance è – secondo Rigoli – isolare i positivi e permettere così a tutti coloro che risultano negativi di continuare la propria quotidianità. Un sistema che, oltre a dar speranza all’economia del paese, potrebbe dare un incoraggiamento psicologico alla popolazione tutta.
Secondo questa visione il metodo adottato in Cina e Sud Corea, quello che invade per protocollo la privacy dei cittadini, non sarebbe di fatto compatibile con la mentalità, la struttura organizzativa, la costituzione e la legge del nostro paese: vincolare la popolazione con forme di rigore troppo stringenti, come è accaduto in alcuni paesi dell’Asia, potrebbe avere, al secondo turno, un effetto disastroso non soltanto per l’economia.
Sembra ormai chiaro che la soluzione proposta dal Veneto siano i test antigenici, che a differenza dei tamponi tradizionali non ricercano il genoma virale ma la presenza di proteine di superficie del virus, riuscendo a dare l’esito in tempi brevi e con risultati affidabili.
“I test rapidi – spiega Roberto Rigoli – non sono una mia invenzione, ma noi ci siamo adoperati per testare e migliorare le loro funzioni. Questi tipi di test ci hanno cambiato la vita perché siamo riusciti a mantenere e rafforzare la biologia molecolare e parallelamente, aggiungendo gli antigenici, aumentare la potenzialità di screening in Veneto”. Le potenzialità di questa tipologia di test hanno la capacità di adattarsi a situazioni dove è necessario sviluppare risultati in breve tempo, come nel caso degli screening al personale sanitario impiegato nei reparti.
“Il mio studio – continua Rigoli nel suo ufficio, dove si contano centinaia di confezioni di tamponi e test differenti – è diventato un’officina: tra i vari campioni in prova, c’è anche il test che ci permetterà di distinguere il Covid-19 dall’influenza A e B”. Tra i progetti in elaborazione c’è anche quello del test autodiagnostico, che permetterebbe, a un costo davvero irrisorio, di verificare in autonomia la presunta negatività al virus.
Secondo il primario vi sarebbero delle differenze tra l’ondata che ha stravolto le nostre vite nei primi mesi dell’anno e quella che stiamo vivendo ora: “Abbiamo una grossa circolazione del virus e un numero maggiore di pazienti che vengono ricoverati, ma il tempo di degenza si è ridotto”.
Un altro tema attuale è quello della comunicazione tra le parti impegnate in quest’emergenza, parti politiche e sanitarie si sono trovate in situazioni di efficiente sinergia oppure di totale contrasto: in Veneto il dottor Rigoli racconta di aver individuato un dialogo costante e costruttivo con i colleghi e con gli amministratori.
“C’è una rete fortissima di microbiologi in Veneto – afferma – che quotidianamente lavorano per combattere questo virus, in stretto contatto con la parte di igiene pubblica, coordinata dalla dottoressa Russo, e con tutti i clinici”. Sulle diatribe in corso con altri virologi, Rigoli suggerisce che la guerra tra le varie figure professionali deve lasciar spazio a un confronto strettamente professionale, faccia a faccia, e comunicare un’opinione comune alla popolazione, perché “l’unico nemico è il virus”.
(Fonte: Luca Vecellio – Simone Masetto © Qdpnews.it).
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