C’è un piccolo albero di Natale dietro ai cancelli della Casa Circondariale di Santa Bona: le timide luci delle sue decorazioni si riflettono su un luogo che, per definizione, non può che essere sinonimo di isolamento e di severità, di chiusura e di punizione, o – in termini più delicati e moderni – di correzione e rieducazione.
All’interno, il personale del carcere (durante il turno) e i detenuti (a tempo pieno) rappresentano a una comunità a sé, con regole stringenti, certo, ma soggette anche a un alternarsi di quotidianità e giorni mondani, speciali, diversi. Lo sentiamo dire anche da Davide e da Nikolin, due detenuti della struttura: un giorno “diverso” da trascorrere in carcere è qualcosa di prezioso. È una boccata d’aria fresca in una lunga sequenza di giornate simili.
Anche se sarebbe sbagliato stigmatizzare la mentalità di un gruppo di individui (ognuno di essi vive i periodi dell’anno con una sensibilità diversa) sicuramente il Natale, così come il periodo estivo, è uno di quei periodi che si rivela capace di dilatare la dimensione della solitudine, rimarcando l’aspetto della negazione della libertà.
Il problema non sta tanto nel vivere il periodo all’interno del carcere, quanto nel sentirsi emarginati nel percepire che il mondo fuori sta festeggiando. Un altro aspetto, secondo gli educatori della Casa circondariale di Santa Bona, riguarda il senso di colpa per la propria assenza, nei confronti dei figli o della compagna/o.
L’evoluzione dell’attenzione degli operatori e della comunità esterna ha contribuito ad andare incontro a questa sofferenza, tentando di alleviare la solitudine dei detenuti. Come? Applicando il significato originale, latino, del termine “divertire”, ovvero distogliere l’attenzione dalle tristezze e dalle nostalgie.
Così questo 29 dicembre, data selezionata per ragioni di organizzazione, ai detenuti verrà concessa una giornata speciale, una festa, da trascorrere assieme e in una semi-autogestione. Inoltre, altre iniziative porteranno i detenuti a trovare un dialogo con il mondo esterno, potendo incontrare anche i loro cari in uno spazio protetto e decontestualizzato.
L’intervista ai detenuti
Grazie alla disponibilità di Davide e Nikolin, due detenuti del carcere di Santa Bona, abbiamo potuto porre di persona questi quesiti a chi li vive da già da qualche anno. Ecco le loro risposte.
Davide, se posso chiedertelo, quanti Natali hai trascorso qui?
“Questo è il secondo e fortunatamente credo l’ultimo. Il prossimo Natale sarà con la mia famiglia”.
Come si passa il Natale qui a Santa Bona?
“Non benissimo, devo dire: ti mancano tanto la famiglia, le figlie, la moglie e i genitori. Tutto ciò che è il discorso famiglia, insomma, si fa sentire. Dall’altro canto, è vero che ci danno comunque la possibilità di riunirci tra di noi, di staccare un attimo e pranzare assieme. Così cerchi di alleggerire quella giornata. È vero che questo periodo si fa sentire”.
E per chi non crede nel Cristianesimo?
“Il Natale lo trascorriamo in serenità, sentendoci uniti da questo punto di vista. Non c’è differenza sotto l’aspetto religioso perché forse noi non lo vediamo proprio come una festività natalizia nel suo senso più religioso, ma semplicemente un giorno diverso dagli altri. Purtroppo, non c’è molto da fare in carcere, quindi riunirsi in quella giornata per noi è interessante”.
Trascorrete il Natale e il Capodanno anche con la Polizia Penitenziaria: con loro riuscite a interagire e trovare un’intesa?
“Sì, tranquillamente. Certo, loro sono lì e fanno il loro lavoro che chiaramente è quello di sorvegliarci, però bene o male con tutti il rapporto è molto sereno. Ovviamente con la Penitenziaria sta a noi come ti comporti: se dai la possibilità di trattarti in un certo modo va bene, se fai stupidaggini invece…
Essendo in molti vi dividete in gruppetti oppure riuscite a rimanere assieme?
Davide: “No, solitamente si formano comunque dei gruppetti, che però riusciamo ad autogestirci. Ci sono degli spazi liberi dove abbiamo la possibilità di accedere. Abbiamo anche le nostre telefonate e il carcere ha messo a disposizione delle videochiamate di un’ora; quindi ci mettono in condizione di interloquire con la nostra famiglia e farci sentire meno distanti”.
Parliamo poi con Nikolin, di origini albanesi ma da tanti anni in Italia, che comincia subito a dirci: “Questo è il terzo Natale che passo qui dentro. Io vengo da una famiglia cristiana e il Natale lo sento molto, soprattutto la Vigilia o comunque i giorni dell’attesa. Anche qui in carcere”.
Perché?
“Perché il Natale fuori da qui era diventato un po’ come una festa di compleanno. Non più il Natale autentico, quello antico dove si sta assieme in famiglia, ma una festa dove si spende troppo e si consuma. Qui dentro invece cerchiamo di passare un Natale come quello originale: siamo qua uniti, tutti assieme. Riceviamo regali dai bambini, dalle parrocchie, leggiamo le loro lettere”.
Nikolin, ma non ti manca terribilmente il Natale in famiglia?
“Certo che mi manca. Io ho fratelli e sorelle e la mamma qui in Italia, che per fortuna vedo e sento spesso, forse anche per questo Natale li vedrò. Per fortuna, anche qui noi detenuti abbiamo costruito qualcosa: diciamo che siamo quasi una famiglia anche noi in queste giornate. Abbiamo una saletta che abbiamo chiesto al direttore: siamo stati lì in trenta l’anno scorso, per stare insieme e cucinare – e, guardando con un sorriso al direttore, – magari anche per quest’anno ci potrebbe dare la concessione”.
L’intervista al direttore
Spostandoci nell’area verde esterna, dove vediamo anche i lavori in corso per il nuovo campo sportivo della casa circondariale, parliamo con il direttore Alberto Quagliotto delle iniziative predisposte per questi e per gli altri giorni speciali, che tanto vengono attesi e ambiti dai detenuti.
Il concetto che il direttore esprime a un certo punto nell’intervista, quello di offrire opportunità “a chi non deve scontare la pena”, ovvero i famigliari, i coniugi, i genitori o soprattutto i figli dei detenuti, è un aspetto che spesso non viene considerato da chi non conosce il carcere e le sue regole, da chi insomma giudica da fuori: anche se l’unico a pagare il prezzo dei propri crimini è il carcerato, la condanna crea inevitabilmente degli effetti collaterali anche ai cari del detenuto, specie se si tratta di minori. Quindi, più che semplici “benefit” per il detenuto, questi incontri protetti sono anche e soprattutto un servizio sociale verso chi lo aspetta fuori dalle pesanti porte verdi di Santa Bona.
“L’anno scorso abbiamo cominciato a strutturare delle feste di Natale destinate ai detenuti che abbiano famiglie con bambini piccoli – ha spiegato il direttore Quagliotto, – Si tratta di feste che vengono decontestualizzate per quanto possibile dall’ambiente detentivo e quindi ospitate in quest’area verde attrezzata.
Qui potete vedere un murales, alcuni giochi, un gazebo dove verrà ospitato Babbo Natale a distribuire dei doni, cioccolata e caramelle. Al di là dell’aspetto materiale della festa è importante offrire un momento di condivisione, con un occhio rivolto soprattutto a chi ha diritto a non scontare la pena”.
Il sostegno della comunità trevigiana
“La cosa che mi ha sempre stupito – ha aggiunto l’educatrice Isabella Pagliuca, che coordina queste iniziative – è il senso di condivisione, di unione, che si crea tra i detenuti non solo italiani, ma anche di diverse nazionalità. Si ritrovano assieme e decidono anche cosa acquistare, cosa cucinare e organizzano dei pranzi davvero buonissimi: con poco riescono a creare tento.
È logico che la famiglia chiaramente manca e infatti cerchiamo di fare il possibile per avvicinare gli affetti esterni in questo senso, anche in questo spazio. Ci sono anche altre attività, non soltanto il giorno di Natale ma l’intera settimana: si tratta specialmente di momenti religiosi dove poter riflettere sui valori del Natale e la giornata del 25 dicembre”.
Con l’occasione, l’educatrice ha anche voluto ringraziare tutte le associazioni e le cooperative esterne che si occupano di organizzare queste giornate: “Dalla Caritas alla Chioma di Berenice, passando per Soroptimist, La Prima Pietra e tutti gli altri volontari, scusandomi già con chi ho dimenticato”.
Tra gli aiuti dall’esterno, la Parrocchia di Treviso da anni promuove nelle giornate prenatalizie la raccolta di doni da destinare ai detenuti: all’interno dei pacchi regalo asciugamani, berretti, bagnoschiuma e dei dolcetti: quest’anno si è aggiunta anche la Parrocchia di San Martino a Conegliano. Tra i doni c’è anche un libro: un gruppo di cittadinanza attiva promuove durante la Quaresima l’acquisto di un libro per i detenuti.
A trascorrere le festività natalizie in carcere non sono soltanto i detenuti: anche la Polizia penitenziaria si organizza in turni per coprire la vigilanza dell’ampia struttura in queste giornate “super festive”. Quasi tutte le attività lavorative all’interno si fermano, dai lavori di falegnameria alla fungaia, e per questo motivo il personale effettivo si riduce e si limita alla vigilanza necessaria. Capita così che questi ultimi, pur mantenendo un distacco professionale e un’attenzione costante, si trovino a trascorrere il giorno di Natale o l’ultimo dell’anno assieme ai detenuti, con un sacrificio che è degno anch’esso dell’empatia della comunità trevigiana.
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