Treviso, una conversazione con il sinologo Adriano Màdaro: “Incompreso il ruolo strategico della Cina”

Con Adriano Màdaro, noto sinologo trevigiano di fama mondiale, il Quotidiano del Piave ha voluto discutere del problema dell’errata percezione degli italiani in merito al ruolo che il popolo cinese ha negli equilibri internazionali.

Giornalista e scrittore, Adriano Màdaro vanta più di 200 viaggi in Cina ed è l’unico membro non cinese del Consiglio direttivo permanente dell’Accademia Cinese di Cultura Internazionale.

Nel 1988 è stato il primo giornalista occidentale a viaggiare nella Corea del Nord fino al 38° parallelo e nel 1990 ha assistito alle prime elezioni democratiche della Mongolia a Ulan Bator.

Parlando della Cina, non si poteva non menzionare l’altro grande colosso economico asiatico: l’India.

Abbinare la Cina all’India – ha spiegato il sinologo trevigiano Adriano Màdaro – è da spericolati perché si tratta di due realtà che sono diversissime e, per certi aspetti, contrapposte. L’India è stata a lungo una colonia degli inglesi e ha recepito una qualche “civiltà occidentale”.

La Cina, invece, è stata una colonia riluttante perché si è sempre opposta ad essere colonia. Infatti, ha ingaggiato due guerre straordinarie, le guerre dell’oppio, contro la Gran Bretagna che voleva imporre l’oppio come droga non soltanto per impossessarsi di un Paese, instupidendo la gente, ma perché questa sostanza era una moneta di pagamento per tutto ciò che gli inglesi rubavano alla Cina”.

“Il ritardo dell’Italia nel concepire la forza della Cina dal punto di vista economico e culturale – prosegue il dottor Màdaro -, rispetto ad altri Paesi del mondo, è una colpa irrecuperabile. Noi, fin dai tempi di Marco Polo, avevamo un privilegio di primato con la Cina.

Allora era l’Impero mongolo però, fin da Marco Polo, abbiamo goduto di “buona stampa” come si potrebbe dire in Cina. Poi, soprattutto nell’epoca della dinastia Ming, tra il XV e il XVI secolo, non dimentichiamo che i gesuiti italiani hanno intessuto con l’Impero cinese dei rapporti talmente stretti nell’ambito culturale, scientifico e politico, che noi dovevamo essere la guida spirituale della Cina e la Cina la guida di tutto ciò che di bello veniva prodotto nel mondo.

Spesso, infatti, le cose più belle venivano realizzate in Cina. Abbiamo avuto una serie di alleanze nella storia, pensiamo a Mussolini con Chiang Kai-shek, e poi è stato perso tutto perché nel 1938 improvvisamente Mussolini ha tradito la Cina, passando con il Giappone nell’asse Roma-Berlino-Tokyo.


Poi, da quel momento, non ci siamo più risollevati nei rapporti con la Cina. Nell’immediato dopoguerra noi siamo rimasti vincolati alla politica americana e, poiché la stessa non riconosceva la Cina, non potevamo riconoscerla neanche noi che eravamo dei sudditi politici degli americani”.

I cinesi ci vedono come i cugini dai quali imparare – aggiunge il celebre sinologo di Treviso -: i cugini eruditi che hanno civilizzato il Mediterraneo. Noi abbiamo avuto tanta ammirazione dalla Cina mentre da parte nostra non è andata nello stesso modo perché classifichiamo la Cina considerando i cinesi che sono immigrati.

Io mi ricordo perfettamente che, negli anni Sessanta e Settanta, prima dell’apertura diplomatica, ci si chiedeva come facessero i cinesi a vivere in certe condizioni di povertà: ci sorprendevamo che fossero tutti vestiti uguali e tutti in giro con la bicicletta.

La situazione ora è completamente cambiata: i cinesi hanno iniziano ad avere i soldi, hanno cominciato a viaggiare e vestono bene. La riforma economica ha buttato ai margini una parte della società cinese.

Alcuni di loro hanno cercato di emigrare e in tanti sono arrivati in Italia e in Europa senza disturbare più di tanto. Infatti, i cinesi si prestano i soldi tra di loro e vivono con le loro cose.

A volte può accadere un fatto negativo di cronaca ma è tutto limitato perché disturbano poco e li senti ancora meno.

Permane comunque una certa avversione per qualcuno che è così lontano, che ha gli occhi tagliati in quel modo, che ha una lingua incomprensibile, che ha delle usanze che non si possono condividere e che, come in molti dicono, “non muore mai”. Nel nostro animo popolare non informato, purtroppo, c’è un senso di “chi va là” nei confronti del cinese”.

“Si tratta di pregiudizi sciocchi – conclude Adriano Màdaro – che non danno alcun risultato anche perché, secondo quello che ho imparato andando in Cina, io vado, vengo, vedo e posso portare una parola, da una parte e dall’altra, di maggiore amicizia e comprensione.

Questo perché, a forza di riflettere, io ho cercato di capire dove sta la differenza tra noi e loro. Noi, il mondo occidentale e gli italiani, abbiamo 2000 anni di civiltà ebraico-cristiana, sull’innesto della filosofia greca, dove l’individuo è sacro.

La Cina ha 2500 anni di civiltà e di filosofia confuciano-taoista dove l’individuo di per sé è pericoloso perché portatore di egoismi. Nella massa, invece, l’individuo si realizza come contributo per il bene comune. In mezzo a queste due posizioni si trova il problema della democrazia”.

(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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