Intervista a Massimo Belluzzo, per due volte in Ucraina come video reporter: “Ho realizzato immagini che non vorrei più rivedere in vita mia, ho percepito l’odore terribile della morte”

Massimo Belluzzo ha 51 anni, “ahimè” dice lui, abita a Treviso e da quasi 30 ama raccontare i maggiori fatti di cronaca e non attraverso le immagini. Proprio per questo motivo ha accettato il pericoloso incarico di andare per due volte in Ucraina per filmare il conflitto in atto. Oggi, Massimo, è un produttore televisivo ma in guerra e tornato a fare il video reporter “il mio primo amore” – confessa.  In Ucraina, come detto, c’è stato due volte, la prima con la Rai e la seconda assieme al conduttore Massimo Giletti.

Quali sono le zone dell’Ucraina in cui è andato? 

Sono partito il 23 febbraio per Kiev con Maria Grazia Fiorani del TG3, ho trovato una normale città europea con gente per strada, ristoranti pieni, traffico. La nostra intenzione era di raccontare la guerra nel Donbass ma senza andare al fronte, rimanendo nella capitale per raccontare l’aspetto politico e la vita degli italiani rimasti. La notte in cui siamo arrivati sono stati lanciati i primi missili sull’aeroporto. Ci siamo svegliati di soprassalto e abbiamo capito che stavamo vivendo lo scoppio della guerra.

Non volevamo andare al fronte ma il fronte è arrivato da noi. Subito abbiamo cominciato a trasmettere le immagini da piazza Maidan in centro a Kiev e, dato che eravamo l’unica troupe RAI presente nella capitale, siamo rimasti in costante collegamento in diretta con tutti i canali e i telegiornali RAI, abbiamo lavorato per giorni dalle 6 del mattino alle 10 di sera. Un lavoro massacrante ma doveroso. Abbiamo raccontato una città attonita, deserta, in attesa del nemico. Man mano che passavano i giorni aumentavano le fortificazioni, i soldati per strada, i mezzi blindati, mentre continuavano a suonare le sirene sia di giorno che di notte che annunciavano i bombardamenti nelle periferie, ma sempre più vicine al centro storico in cui ci trovavamo. Il 28 febbraio siamo stati raggiunti da una chiamata dall’unità di crisi della Farnesina che ci avvisava dell’imminente l’ingresso delle truppe russe in città (cosa poi non avvenuta) e ci intimava di uscire da Kiev con un convoglio umanitario organizzato dall’Ambasciata Italiana.

Il 15 marzo sono ripartito per l’Ucraina, ma stavolta la destinazione era Odessa, sul Mar Nero per realizzare la diretta di “Non è l’Arena” di domenica 20. Abbiamo incontrato Massimo Giletti a Bucarest e abbiamo proseguito per Odessa totalizzando 2200 km di viaggio in auto. Anche qui abbiamo trovato una città in stato d’assedio. Al largo stazionava la flotta russa che si preparava allo sbarco, sulla spiaggia i cittadini aiutavano i soldati a riempire i sacchi di sabbia per erigere le barricate. Anche qui continui allarmi che annunciavano i missili in arrivo dalle navi ma che per fortuna non avevano come obiettivo il centro storico. Il sabato abbiamo anche raggiunto il fronte a Mykolaiev e realizzato un reportage in una base militare bombardata durante la notte dai russi. Stavano ancora scavando per cercare i corpi dei giovani soldati rimasti sepolti sotto le macerie. Qui ho realizzato delle immagini che non vorrei più rivedere in vita mia, ho percepito l’odore terribile della morte, un odore che ti si appiccica addosso e che sembra non andare più via. La domenica ci siamo invece dedicati alla realizzazione tecnica della puntata che ci ha impegnato fino a notte fonda. 

Sempre di guerra si tratta ma ci sono state delle differenze tra le città in cui siete stati?

A Kiev abbiamo vissuto lo shock dello scoppio della guerra, e subìto lo stress dell’attesa del nemico, con l’orecchio sempre teso per cercare di capire se il rumore delle bombe si avvicinava. Ad Odessa invece siamo andati al fronte, attraversando ponti minati e incrociando continuamente check point in cui i soldati, nervosissimi, con i kalashnikov puntati, ci controllavano documenti e bagaglio. Nel sud dell’Ucraina siamo entrati nel cuore della guerra vivendone gli aspetti più tragici e sconvolgenti.

Quale è la situazione che sta vivendo il popolo Ucraino?

Il popolo ucraino sta vivendo una tragedia immane, si calcola che quasi la metà dei bambini abbiano lasciato il paese. Uscendo da Kiev ho visto con i miei occhi fiumi di persone in fuga sotto la neve, chi in auto chi a piedi, portandosi dietro solo pochi vestiti ficcati in fretta dentro una valigia. Ho visto donne stringersi in lunghi abbracci di lacrime mute, un pianto non ostentato ma vissuto dentro. La disperazione vera di chi ha lasciato tutto, case, lavoro, una vita normale scomparse all’improvviso, la separazione da figli e mariti che sono rimasti a combattere. 

Hai mai avuto paura?

Si certo. Soprattutto i primi giorni a Kiev, quando ci hanno evacuato da 2 alberghi in 2 giorni perchè troppo esposti al possibile bombardamento dei missili russi in quanto non avevano il bunker. Ci siamo trovati in strada alle 7 del mattino con i bagagli, senza un mezzo, perchè ovviamente le auto non circolavano più, mentre suonavano le sirene di allarme e non sapevamo dove scappare. Ci siamo rifugiati nella metropolitana assieme agli altri cittadini della capitale in attesa che passasse il pericolo. Ma anche in questi momenti non mi ha mai abbandonato l’istinto di filmare tutto quello che accadeva attorno a me, consapevole che stavo vivendo una situazione straordinaria e che il mio compito era documentare.

Un altro momento non facile è stato all’inizio della diretta con Giletti, quando è partito un attacco della contraerea  ucraina contro un drone che stava sorvolando la città e sopra le nostre teste abbiamo visto i traccianti mentre da tutte le parti arrivavano gli scoppi dei proiettili. Ho avuto l’istinto di scappare, mi si è gelato il sangue delle vene, ma per fortuna avevamo dietro di noi la scorta dei militari che ci ha dato coraggio e abbiamo continuato a girare. 

Immagino che abbiate avuto modo di parlare con la popolazione ucraina. Quale sono le loro paure e le loro speranze?

Gli ucraini mi hanno davvero stupito per il loro coraggio e la loro fierezza. Un signore ad Odessa mi ha detto: dite in televisione agli italiani che se Putin vuole conquistare il nostro paese dovrà raderlo completamente al suolo perchè noi non molleremo. Ho visto ragazzini di 17 anni imbracciare fucili più grandi loro  fieri, in attesa del nemico. Ho vissuto un momento straziante, quando la producer (l’assistente) di una giornalista argentina, le ha consegnato sua figlia di 3 anni dicendole portala via con te, portala in salvo perchè io devo rimanere qui a combattere al fianco di mio marito per difendere il mio paese.

Quale è stata la scena che ricorderà per sempre?

La scena che purtroppo ricorderò per sempre, anche se vorrei poterla dimenticare il prima possibile, è quella dei corpi mutilati, straziati degli 80 soldati, uomini e donne, tutti giovani e giovanissimi, della base colpita dal missile a Mykolaiev. Ti arriva addosso la morte come uno schiaffo, la senti nelle narici e capisci che la guerra è davvero uno schifo, una follia che solo l’uomo malvagio può concepire.

L’uscita dall’Ucraina la prima volta è stata una vera e propria odissea. La può raccontare?

La mattina del primo marzo ci hanno chiamato i servizi segreti italiani, ci hanno dato 15 minuti per fare i bagagli e uscire dall’hotel. In fretta ci hanno caricato su un furgone blindato, eravamo in 6 tra giornalisti e tecnici. Ci hanno portato in un bunker segreto in centro a Kiev e ci hanno ordinato di spegnere i cellulari per non essere localizzati. Dopo 2 ore ci hanno prelevato e condotti a tutta velocità fuori città dove era stata organizzata la partenza del convoglio umanitario. A bordo c’era anche l’Ambasciatore e i funzionari che stavano lasciando la città, oltre a civili italiani, parecchi bambini e addirittura alcuni neonati. Negli occhi di tutti leggevi la paura e lo sbigottimento per quanto stavamo vivendo. E’ iniziato così un viaggio di 28 ore da Kiev a Chisinau, capitale della Moldavia, attraverso le campagne dell’Ucraina, attorno a noi gente in fuga, check point con code chilometriche, colonne di fumo e ogni tanto sordi colpi di artiglieria. E’ stata una vera odissea, senza cibo, solo acqua senza dormire, perchè la paura non ce lo permetteva. Quando abbiamo attraversato il confine abbiamo urlato di gioia.

Lei ha raccontato molto di questa sua esperienza sui propri profili social dove non sono mancate anche le critiche e le offese per quanto fatto (a detta di alcuni avete ostentato il vostro operato) che cosa si sente di rispondere a queste persone?

Da anni ormai racconto sui social quello che faccio e che vivo e mi è sembrato normale continuare a farlo mentre mi trovavo in Ucraina. Mi serviva inoltre ad alleviare la preoccupazione dei miei cari in Italia che potevano constatare stavo bene e che nonostante tutto continuavo a fare il mio lavoro. Se qualcuno ha visto ostentazione in questo non so che dire. E comunque miei profili social sono pubblici e chiunque può andare a vedere e farsi un’idea. 

Ha idea di ritornare?

Mi ha chiamato Giletti chiedendomi la disponibilità a ripartire perchè è intenzionato a realizzare un’altra puntata in diretta da Odessa. Anche Maria Grazia Fiorani vuole tornare a documentare la guerra, quindi si, credo proprio che tornerò. Dopotutto Il mio lavoro consiste nel raccontare e vivrei la rinuncia come un tradimento della mia missione.

(Foto: per gentile concessione di Massimo Belluzzo).
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