Calano i capannoni inutilizzati, una tendenza che prosegue ormai da sei anni ma se i capannoni dismessi stanno diminuendo, -303 in provincia rispetto al 2016 (-15,7%), resta il problema della loro riconversione. Ad oggi, ogni dieci unità produttive, ve n’è una dismessa. Dati che collocano la Marca Trevigiana ai primi posti in regione e in Italia per consumo di suolo. Lo rileva una ricerca a campione commissionata da Confartigianato Imprese Veneto a Smartland srl.
Treviso ha un’elevata incidenza di consumo di suolo, pari al 16,7%, percentuale che colloca la Marca al secondo posto in regione dopo Padova (18,7%) e ben al di sopra della media nazionale del 7,1% e di quella regionale dell’11,9%.
Stessa posizione anche per quanto riguarda il rapporto tra le aree produttive e le superfici complessive. Treviso, con 7.143 ettari di superfici produttive e commerciali si assesta al 2,9%, ancora una volta superata da Padova (3%) e contro una media regionale del 2%.
Treviso è nel gradino più basso del podio (17,5%, se si considera il rapporto tra le superfici produttive e commerciali) rispetto alla superfice totale consumata: superata da Verona 18,9% e da Vicenza 20,9%.
“Questi dati confermano la vocazione produttiva del Veneto e della nostra provincia – spiega Oscar Bernardi, presidente di Confartigianato Imprese Marca Trevigiana – con l’effetto collaterale dello spreco di suolo, come è evidente dai capannoni abbandonati. Il dato positivo, che rileva la ricerca, è la contrazione delle unità immobiliari produttive inutilizzate. Nel Veneto ne erano state censite 10.600 nel 2016, scese a 9.200 nel 2022, con una -contrazione del 13%, che riguarda anche Treviso che ne conta 1.632, calati di 303 (-15.7%), il calo percentuale più sostenuto della regione”.
Dal 2012 la superficie produttiva veneta si è ampliata di 2.291 ettari. Di questi, 445 interessano la Marca Trevigiana, pari al 6,7% del totale, dato che colloca la provincia al terzo posto dopo Padova (7,3%) e Vicenza (13,3%). Speculari sono gli stock immobiliari produttivi: sono 18.140 a Treviso, pari al 18,6% del totale veneto, valori superati solo da Vicenza (22,5%).
“La contrazione delle unità immobiliari produttive inutilizzate – rileva Bernardi – da sola non risolve il problema del consumo di suolo. Per questo Confartigianato ha indagato le caratteristiche peculiari di questi complessi abbandonati”.
La ricerca ha evidenziato come le maggiori riconversioni (1.370 complessivamente in Veneto) abbiano riguardato il patrimonio di più grandi dimensioni, il tipico capannone produttivo localizzato in area produttiva propriamente detta e posto in ambito ad alta connessione stradale. Il dismesso, al contrario, è stato rilevato in contesti rurali, in ambiti impropri o inseriti in ambiti urbani consolidati. Qui i numeri degli edifici inutilizzati è stabile e in alcuni casi in aumento.
“È evidente la difficoltà di riconvertire tali spazi – sottolinea Bernardi – spesso di piccole-medie dimensioni, localizzati in ambiti a ridotta accessibilità e spesso inglobati alla residenza. Rappresentano il 41% del patrimonio produttivo inutilizzato e il 30% in termini di superfici. Per la provincia di Treviso parliamo di almeno 670 capannoni“.
Nel patrimonio produttivo inutilizzato una unità immobiliare su cinque sarebbe da demolire in quanto inutilizzabile, mentre un 4% risulta incompiuto. Il 77% dell’inutilizzato riguarda i classici capannoni, mentre un 20% è riconducibile a manufatti per lo più artigianali.
“Dobbiamo concentrarci sul 670 capannoni dismessi localizzati fuori dalle aree produttive che risultano non essere appetibili come luoghi per le imprese. La richiesta alla Regione e agli enti locali che si occupano di urbanistica è quella di individuare elementi che agevolino il loro abbattimento (attraverso, ad esempio, una valorizzazione dei crediti edilizi) oppure una loro riconversione come studentati, palestre, asili, luoghi di ricreazione, ovvero per usi temporanei per attività di vario tipo anche in funzione della definizione di nuove destinazioni d’uso – conclude il presidente Bernardi -. Serve un cambio di passo per evitare di trovarci nel prossimo futuro con aree urbane fatiscenti e degradate a tal punto da non essere più di interesse per le comunità che le vivono. Serve ripensare il nostro modo di vivere il nostro territorio in relazione allo spopolamento di molti piccoli paesi e centri abitati, al problema della denatalità e alla difficoltà di avere servizi per le famiglie e le imprese nelle aree con bassa densità di abitanti. Ci corre l’obbligo di lasciare alle generazioni future un patrimonio immobiliare e un territorio ecosostenibili e salubri, per questo ritengo sia utile creare un tavolo di confronto fra tutti gli attori che a vario titolo si interessano del tema”.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
#Qdpnews.it