La tradizione della cucina povera nell’Alta Marca: la macellazione del maiale e la festa di “S. Antonio del Porzel”

Come tutte le cucine territoriali anche quella del Quartier del Piave e delle zone limitrofe è nata da caratteristiche storiche e geografiche uniche e che hanno fortemente influenzato la cultura e le tradizioni dell’essere veneti.

La cucina della gente comune, fortemente contrapposta a quella di nobili e aristocratici, era spesso ripetitiva, caratterizzata da “cibo che sazia ma non nutre” molto povero di valori nutrizionali ma capace di saziare per un’intera giornata. Le uniche eccezioni erano costituite dalle feste religiose o da quelle civili che scandivano un vero e proprio calendario enogastronomico.

Nell’alimentazione contadina il maiale costituiva la principale fonte di proteine animali. Per poter garantire una maggior conservazione delle carni durante la lavorazione la macellazione avveniva nel mese di gennaio e culminava il 17 gennaio, con la festa di Sant’Antonio del Porzel (Sant’Antonio Abate).

Il Santo era rappresentato con un maialino al proprio fianco che rappresentava il diavolo.

Nel compiere il rito della macellazione, del maiale non veniva buttato nulla: oltre alle carne che serviva a preparare gli insaccati, le setole venivano utilizzate per fabbricare i pennelli, la pelle privata del lardo (unico condimento utilizzato tutto l’anno) serviva per ungere le seghe, le orecchie per arricchire i fagioli, il sangue per le torte, mentre le ossa venivano cotte lentamente e servite la sera per celebrare la ricorrenza.

Questo piatto viene tuttora preparato in molte osterie e ristoranti della provincia e prende il nome di Osada.

Le ossa vengono lessate per circa tre ore in un brodo di fagioli con rosmarino, salvia e cipolla. La piccola parte di carne che veniva lasciata, viene mangiata spolpandola con le mani e accompagnandola con il cren, radice del rafano con aceto bianco e sale.

maiale copy


Il sangue, immediatamente raccolto dalle donne di casa, veniva mescolato in una pentola fino a diventare freddo e dava vita al “baldon”, uno dei dolci tipici della Marca trevigiana.

Veniva preparato aggiungendo al sangue, latte farina e zucchero, mescolato ed amalgamato fino a farlo diventare una crema aggiungendo poi le uvette bagnate nella grappa.

Una volta pronto veniva mangiato ancora caldo oppure messo nei budelli per la conservazione che avveniva, visto le basse temperature del periodo dell’anno, nelle cantine.

Le preparazioni di questo dolce sono differenti da ogni zona dell’Alta Marca: la costante è appunto il sangue, per questo in molte zone viene chiamato anche sanguinaccio.

Vista la vicinanza con il carnevale, assieme a frittele e crostoli diventa uno dei dolci caratteristici di questa ricorrenza.

Il rito della morte dell’animale si trasformava in una festa che veniva celebrata mangiandone le carni con un tempo di conservazione minore, mentre le altre venivano conservate per tutto l’anno.

La macellazione del maiale è uno degli esempi più comuni del come gli sprechi non vengano concepiti nella cucina popolare dell’Alta Marca Trevigiana, una forte contrapposizione con l’abbondanza dei giorni nostri ma che comunque non ha cancellato nella cultura popolare le tracce della sua origine.

(Fonte: Redazione Qdpnews.it).
(Foto: Stefano Esposito dal libro “I mangiari di una volta”).
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