Le “buchette del vino” a Firenze, e nella Marca? Intrecci tra storia delle civiltà e del vino verso il turismo slow

Per incentivare l’attrattività turistica dell’Alta Marca Trevigiana potrebbe essere d’aiuto agli imprenditori locali prendere spunto anche da quelle mete italiane che in questo settore sono abituate a reinventarsi tutto l’anno: città come Firenze, dove da qualche settimana viene sperimentato il ritorno in funzione delle “buchette del vino”.

Si tratta di una tradizione antica, capace di legare in una sola, mondana o quotidiana esperienza il fascino della storia e dell’architettura e la passione per il vino o, in versione più moderna, per lo spritz: una rivisitazione al passato di una tendenza contemporanea, quella dello street food, che apre le porte o, in questo caso, i tabernacoli a una nuova concezione di aperitivo.

Questa storia inizia nel Cinquecento: i signori di Firenze portavano in città il vino prodotto nelle tenute estive di campagna, colmando le cantine dei palazzi del centro. Da queste piccole botole, posizionate molto più in basso di una normale finestra, un servitore vendeva sottobanco ai passanti un bicchiere o una fiaschetta di vino in cambio di denaro contante e non tassabile.

Alcune di queste finestrelle, poco meno di duecento in tutta la città, col tempo sono state murate o trasformate in campanelli o buche per le lettere, altre riportano ancora oggi fiere la parola “vino” e solo alcune, dopo l’intuizione di alcuni imprenditori durante la ripartenza post Covid, hanno ripristinato l’attività di somministrazione delle bevande. È così oggi possibile acquistare uno spritz direttamente da una cantina pagandolo e ritirandolo attraverso queste aperture, per poi consumarlo in piedi.

Tra i tanti commenti alla curiosa notizia sui social e sui blog, in molti si sono chiesti perché questo costume non sia mai nato in Veneto e soprattutto a Treviso, dove il vino è un fattore legante della società a vari livelli, più che una semplice bevanda o passione.

In Veneto un modo di vendere il vino “semi-clandestinamente” era legato alla consuetudine della frasca, dove al di fuori degli stabili luoghi di vendita del vino, si potevano bere prodotti direttamente dai luoghi agricoli di produzione contrassegnati da una vistosa frasca di ramaglia che indicava la disponibilità del contadino di mettere a disposizione in cambio di qualche denaro, in periodi limitati dell’anno (soprattutto post vendemmia), vino e prodotti da lui realizzati.

È curioso scoprire come, osservando l’architettura degli edifici, la funzione di strumenti e meccanismi ormai divenuti obsoleti possa diventare stimolo per innovare: anche in Veneto, tra botti di vino che diventano cuccette, “casoin” che riprendono il loro posto sotto ai portici delle città e castelli che vengono ricostruiti e ammodernati, gli esempi di questo fenomeno non sono pochi nemmeno nell’Alta Marca Trevigiana.

C’è da dire che, se anche qualche imprenditore copiasse i fiorentini traslando in qualche modo la tradizione dalla Toscana al Veneto, potrebbe se non altro risultare innovativo sui prezzi al bicchiere: se a Firenze uno spritz può costare dai cinque ai sette euro, nella Marca, anche affacciati sulle colline, ne bastano due e mezzo o tre.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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