Le cardiologie di Treviso e Castelfranco insieme nello studio che cambierà le linee guida internazionali sugli infarti

Le cardiologia di Treviso e Castelfranco Veneto, dirette dal dottor Carlo Cernetti, grazie al coordinamento del dottor Luca Favero, delegato regionale Gise (Società di Cardiologia Interventistica), hanno attivamente partecipato e contribuito a un importante studio, il Dubius Trail, che ha consentito alla ricerca italiana di fare ancora scuola a livello mondiale e ridefinisce nuovi standard di trattamento e prognosi della forma più frequente d’infarto, quella in cui l’arteria non è completamente ostruita (Nstemi).

Il Dubius – affermano il dottor Cernetti e il dottor Favero – conferma che, sull’infarto, l’Italia è best in class, con risultati che riducono gli eventi avversi a meno della metà rispetto al resto del mondo: 2 su 100 trattati contro i 7 a livello globale. Ci rivela, inoltre, che la ricerca e la pratica clinica nel nostro Paese sono davvero in ottima salute, forse migliore di quanto a volte siamo portati a pensare e di cui dobbiamo essere tutti fieri”.

“Grazie a questo studio, presentato al recente congresso online della Società Europea di cardiologia – spiega Cernetti – abbiamo dimostrato che una strategia invasiva, entro le 24 ore dall’evento e con approccio radiale (dal polso) incide sui risultati più di quanto faccia la tempistica della terapia farmacologica”.

“Con questo studio a cui le cardiologie di Treviso e Castelfranco Veneto hanno dato un contributo molto rilevante – sottolinea Cernetti -, abbiamo individuato la strategia di trattamento farmacologico più efficace e sicura nelle fasi che precedono la coronarografia, l’angioplastica coronarica e il bypass aorto-coronarico. Con i risultati del Dubius si potrà evitare, a circa 80.000 pazienti l’anno, una somministrazione a tappeto di potenti antiaggreganti prima della coronarografia, con una riduzione di potenziali effetti collaterali e notevoli ricadute sull’appropriatezza delle cure”.

Al momento i tempi di attesa nel caso di bypass, per chi ha avuto un precedente trattamento antiaggregante sono di 5-7 giorni. Giornate che il paziente trascorre in ospedale, aumentando rischi di complicanze e costi di gestione. Tempi che, se il paziente non è stato pretrattato, possono essere quasi azzerati. In tempo di Covid-19 un risultato ancora più prezioso per la pratica clinica.

“A distanza di circa 20 anni dal celebre studio Gissi, – affermano il professor Tarantini e il primario Cernetti – la cardiologia Interventistica italiana (Gise) si distingue a livello internazionale per una sperimentazione clinica in grado di influenzare le pratiche di trattamento dell’infarto a livello europeo grazie a una stretta collaborazione tra la università e rete ospedaliera”.

(Fonte: Redazione Qdpnews.it).
(Foto: Ulss2 Marca Trevigiana).
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