C’è anche un trevigiano tra gli otto indagati nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Ancona perché avrebbero effettuato sversamenti abusivi di liquame bovino in alcuni torrenti delle Marche.
Questa mattina, 40 Carabinieri Forestali del Gruppo di Ancona, con il supporto dei colleghi di Ascoli Piceno, Macerata e del Reparto Carabinieri Parco dei Monti Sibillini, hanno eseguito due provvedimenti di sequestro preventivo d’urgenza. Sono stati posti sotto sequestro tre impianti di produzione di biogas, un allevamento di bovini e denaro per un valore complessivo di 223.200 euro.
Le indagini, coordinate dalla DDA anconetana e condotte dal Nipaaf della stessa città con il supporto del Nucleo Carabinieri Forestali di Arcevia, hanno portato alla denuncia di sette persone residenti nelle province di Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Treviso e Roma. Gli indagati, tra cui proprietari, amministratori e consulenti tecnici di impianti di biogas e dell’allevamento sequestrato, sono accusati di aver gestito abusivamente oltre 3.800 tonnellate di rifiuti in soli quattro mesi. I rifiuti, costituiti da liquame bovino, digestato liquido e solido, sarebbero stati sversati nei torrenti affluenti del fiume Esino e sui terreni circostanti, causando un grave inquinamento ambientale e l’annientamento della fauna ittica a causa dell’anossia.
Tra gli indagati figura anche un funzionario della Regione Marche, accusato di corruzione poiché avrebbe ricevuto la promessa di una somma di denaro da parte del responsabile legale di uno degli impianti sequestrati in cambio di un’autorizzazione illegittima.
Parallelamente, gli investigatori stanno verificando le condizioni di detenzione dei 500 bovini presenti nella stalla sequestrata. Le prime analisi indicano che gli animali vivevano in condizioni igieniche precarie a causa della mancata rimozione del letame e in un numero superiore a quello consentito dalle autorizzazioni, che permettevano la detenzione di un massimo di 300 capi.
Gli inquirenti ritengono che i gestori degli impianti di biogas abbiano deliberatamente sversato il digestato nei corsi d’acqua per massimizzare i profitti ottenuti dai contributi del Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Secondo l’accusa, il liquame veniva scaricato nei torrenti tramite pompe ad immersione, attivate nei giorni di pioggia per camuffare l’inquinamento. Simili strategie sarebbero state adottate anche dai responsabili dell’allevamento, che avrebbero smaltito illegalmente i liquami prodotti mescolandoli al digestato solido o riversandoli in vasche di un impianto dismesso.
Nel corso delle operazioni, sono state effettuate perquisizioni nelle sedi legali delle quattro società coinvolte, tre delle quali con sede in provincia di Macerata e una in provincia di Ancona. Una perquisizione ha riguardato anche una società in provincia di Ascoli Piceno, riconducibile a un consulente tecnico di uno degli impianti di biogas sequestrati.
A supporto delle indagini ha operato anche il Nucleo Carabinieri Elicotteri di Pescara. Dai rilievi dell’ARPAM di Ancona, emerge che nella vallata dove si trovano due degli impianti sequestrati e l’allevamento, dal 2013 a oggi si è registrato un preoccupante aumento del valore dei nitrati in un pozzo adiacente ai torrenti inquinati. Le acque, un tempo potabili, sono state dichiarate non idonee al consumo umano ai sensi del Decreto Legislativo 31/2001.
(Autore: Simone Masetto)
(Foto: Carabinieri tutela ambientale)
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