“Mi illumino la vita”: la storia di Halyna raccontata dall’agenda Doppio Tempo

Halyna ha saputo illuminarsi la vita e la strada da seguire. Non una metafora, ma una realtà, perché Halyna è una vera artigiana, una delle poche paralumiste della zona in grado di riparare, creare, ideare e produrre da zero paralumi di qualsiasi genere e dimensione. Nel suo negozio-laboratorio di piazza Martiri Belfiore, nel quartiere di Santa Maria del Rovere a Treviso, l’aria che si respira è globale: la forza e la determinazione dell’Ucraina, lo stile veneziano, la trevigianità che si affaccia e chiede qualcosa di unico.

Oggi Halyna ha 52 anni, un laboratorio in proprietà acquistato con un mutuo e un compagno con cui vive a Quarto d’Altino. In Ucraina, nella provincia di Leopoli, ha una figlia di 32 anni, una mamma di 72, un nipotino che non vede da prima della pandemia e molti parenti. “Sono in apprensione per loro e li penso continuamente. Da noi – spiega – il modello famigliare era 20-20-20: anche mia nonna aveva solo 20 anni più di mia mamma, io ho sfiorato i 21. Mi sono sposata presto e sono partita altrettanto presto, in cerca di lavoro, quando mia figlia aveva solo 8 anni. Mio marito soffriva di depressione, ha iniziato a bere ed è partito per la Russia alla ricerca di fortuna come edile. Non ci siamo più rivisti e siamo divorziati da anni. Avevo fatto il conto che per pagare i debiti e sistemarsi sarebbero bastati tre anni. Oggi sono a Treviso da 23.

Sono arrivata in Italia, come molte di noi, con un visto provvisorio, in pulmino, col posto letto da qualche connazionale; poi i primi lavori e l’apprendimento della lingua. Ho lavorato come colf, badante e tuttofare a Napoli, in seguito come operaia agricola a Melfi, in provincia di Potenza, nelle serre di pomodoro, poi su al Nord in un laboratorio tessile per terzisti di Badoere, ho fatto perfino le pulizie serali degli autobus. Ho vissuto serenamente con varie famiglie, ho tenuto i bambini degli altri, poco più piccoli della mia che avevo lasciato a casa in Ucraina. Gli anni da “clandestina” sono stati duri e difficili, poi fortunatamente il lavoro non mi è mai mancato e con le sanatorie sono riuscita a ottenere il permesso definitivo.

Ho avuto un crollo psicologico quando mi sono fratturata un polso in una casa in cui stavo a servizio: mi sentivo in colpa per non riuscire a “fare tutto” e così sono rientrata nel mio Paese per la convalescenza. La famiglia mi è sempre mancata moltissimo, ancor di più ora che c’è la guerra. Nei primi anni ’90 c’era una tessera per telefonare ai numeri fissi – prima ci arrangiavamo con le lettere che transitavano coi pulmini – e la domenica era il giorno della telefonata: novanta minuti dovevano bastarti tutto il mese. Mia mamma non usciva nemmeno per temere di perdere la chiamata, che il più delle volte si concludeva in pianti e commozioni”.

La svolta di Halyna è arrivata a Treviso, patria adottiva di un’amica connazionale. Anche in questo caso, pulizie e stiro in una casa i cui titolari conducevano l’attività artigianale e artistica “Il Doge”, fino a qualche anno fa nel centro storico: marito e moglie, Mario e Mariuccia, con un figlio e la passione per i paralumi e l’arredo. “Li ho conosciuti per caso quando facevo le pulizie serali negli autobus e ho iniziato a casa loro come colf. In Ucraina avevo fatto la scuola di sartoria e il cucito lo sentivo nel mio DNA, per questo ho sempre cercato un lavoro coi tessuti: mia mamma cuce e fa vestiti per tutta la famiglia, mia nonna faceva abiti su misura in atelier. Mariuccia aveva capito la mia passione e mi aveva generosamente invitata a “vedere”. Rubavo con gli occhi e mai avrei pensato che sarebbe diventato il mio mestiere, anche se mi sono sempre sentita molto orientata al lavoro manuale”.

Se il DNA ha fatto la sua parte, il destino ha fatto il resto. La signora Mariuccia si è ammalata ma è riuscita a trasmettere i fondamentali del mestiere ad Halyna. Quando è mancata, Mario ha proseguito il lavoro coinvolgendola e dandole fiducia. “All’inizio ero un po’ lenta, ma riuscivamo a far fronte agli ordini. Mario ha saputo tenere tutti i clienti e io un po’ alla volta imparavo e mi velocizzavo. Le basi di cucito mi sono molto servite. Poi, giunta l’età della pensione, Mario mi ha proposto di rilevare l’attività e i macchinari, mi ha presentata a tutti i clienti e mi ha aiutata a partire. Ho pagato l’avviamento in alcuni anni facendo un cambio merce in pulizie, stiro e manutenzione casa.

Oggi, dopo anni di affitti esorbitanti, ho deciso di fare l’investimento e ho acquistato il mio piccolo laboratorio-negozio artigianale. Mia madre e mia figlia lo hanno visto, non ancora il mio nipotino. Tengo materiali importanti come i tessuti di Rubelli, lavoro con architetti, designer, arredatori, privati e vetrerie, mi diverto a differenziare i prodotti e produco anche ballerine e pantofole veneziane. In pandemia mi sono salvata perché ho sempre lavorato e ricevuto ordini online. Se mi guardo indietro e penso ai viaggi e alle paure dei controlli, mi sento felice per aver tenuto duro. Tante fatiche ma anche soddisfazioni: nel 2013 ho ottenuto la nomination per la quinta edizione del premio “MoneyGram” per l’imprenditoria immigrata e nel 2015 il premio Innovazione e creatività per le imprese femminili della Camera di Commercio”.

(Foto: Doppio Tempo).
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