Parla il padre di Aymen: “Voglio sapere cosa l’ha spinto ad uccidere mio figlio”. Il giallo del cellulare del ragazzo

“Voglio sapere cosa l’ha spinto ad uccidere mio figlio”. A parlare è Amin (in foto) il papà di Aymen Adda Benameur, il 17enne ucciso ieri a Varago, frazione di Maserada sul Piave. 

Poco dopo le 17 il padre stava riposando visto che lavorando alla Contarina la sveglia per lui ogni mattina è alle 3 di notte quando due amici hanno bussato alla porta di casa. Ad aprire è stata la madre che subito aveva capito fosse successo qualcosa al figlio ma mai avrebbe pensato che Aymen fosse stato ucciso con una coltellata all’addome. “Ci hanno detto di andare a vedere – continua il genitore – e lo abbiamo trovato morto”. 

“Due amici – continua il genitore – hanno provato con le mani a fermare l’emorragia ma non è servito a nulla”. A stento trattiene le lacrime mentre sfoglia sul telefonino le foto del figlio maggiore in bicicletta, al mare o scattate durante le vacanze a Milano o in Algeria lo scorso dicembre quando la famiglia era andata a trovare i parenti. Nell’altre stanze dell’appartamento al secondo piano di via Don Minzoni a pochi passi dalla chiesa della frazione ci sono la moglie e gli altri tre figli di tredici, dodici e quattro anni e mezzo. “Stanotte non abbiamo dormito – continua il padre – andremo da uno psicologo”.

Tutti conoscevano il giovane: “mi fermavano per strada e mi dicevano che era un bravo ragazzo – aggiunge il padre – mio figlio pregava sempre e non faceva mai tardi la sera”. 

Aymen tornava sempre a casa verso le 23 perché il papà voleva vederlo rientrare prima di addormentarsi: “mi diceva sempre che i suoi amici tornavano tardi – continua Amin – ma io non volevo. Ora è come se mi avessero tolto un pezzo del mio cuore“.

Quello che non è chiaro al genitore è dove sia il cellulare del figlio: “a casa non c’è e i carabinieri non lo hanno trovato. Mio figlio non aveva il computer ma non usciva mai di casa senza cellulare”.

Amin è in Italia da molti anni e da 23 era dipendente di Contarina: “ho iniziato quando c’erano solo pochi camion – aggiunge – ora ce ne sono quasi 600”. Per 12 anni la famiglia ha vissuto a Spresiano poi per questioni di spazio si era trasferita a Varago dove il figlio si era rifatto qualche amico “ma la maggior parte delle persone che frequentava erano di Spresiano”.

Il giovane, tornato a casa dopo le lezioni al Besta di Treviso, ha mangiato e dopo circa un ora ha detto alla madre di voler uscire. “Mia moglie gli ha chiesto se avesse pregato e lui ha detto di si così lo ha fatto uscire”. Spetterà ora agli inquirenti determinare cosa Aymen abbia fatto o chi abbia visto nelle ore prima di morire. 

“Ieri pomeriggio sono arrivati i carabinieri – conclude il genitore – e hanno perquisito la sua stanza ma non hanno trovato nulla di strano”.

“E una famiglia molto unita, in gamba e ben integrata – commenta don Federico – come comunità siamo tutti feriti. L’invito è quello di pregare per esprimere loro la nostra vicinanza in un momento così difficile”.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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