“Polvere sei e in polvere ritornerai”, l’evoluzione del pensiero sulla cremazione in Italia. Mons. Genovese: “Anticipa ciò che sarà del nostro corpo”

Da anni in Italia la cremazione non è più un tabù e molte persone manifestano in vita la volontà di essere cremate dopo la morte.

In altri Paesi del mondo, soprattutto nelle nazioni dove la maggioranza della popolazione è di fede induista o buddhista, questa pratica funeraria è molto diffusa ma da un po’ di tempo anche il Cristianesimo ha superato l’iniziale diffidenza nei suoi confronti.

Per anni la Chiesa Cattolica si è opposta a questo rito, considerato inizialmente “anti-religioso”, fino al 1963 quando è stato tolto il divieto canonico della cremazione in seguito alle insistenti richieste della Federazione Internazionale della Cremazione.

In quell’occasione la Congregazione del Sant’Uffizio inviò ai vescovi una circolare per informarli che la Santa Sede aveva deciso di modificare le norme canoniche nei confronti di coloro che, prima di morire, avevano deciso che il loro corpo fosse cremato.

“Da anni la Chiesa ha aperto alla cremazione – spiega Monsignor Antonio Genovese, parroco di Montebelluna -, basta che non sia ‘in odium fidei’, quindi contro la fede cristiana. A volte per comodità e praticità, visto il problema degli spazi nei cimiteri, si opta per la cremazione. Di fatto la cremazione anticipa quello che sarà del nostro corpo: diventeremo tutti cenere. Nella solennità del Mercoledì delle Ceneri si dice ‘Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai’ insieme alla formula prevista dalla liturgia, che io normalmente preferisco, ‘convertiti e credi al Vangelo’”.

“È un’ulteriore attenzione ai segni dei tempi – prosegue -, e non è stato fatto per adeguarsi ad altre religioni o esperienze. Di fatto il nostro corpo diventa polvere nella sua fragilità e rimangono lo spirito e l’anima che certamente salgono al Signore. La Chiesa non accetta di fare i funerali per coloro che decidono di spargere le ceneri perché è un senso di non rispetto dell’esperienza della comunione dei Santi. C’è una condivisione del dolore e dello spazio in cui dovrebbero essere messe le ceneri: questo è il camposanto, il luogo dell’attesa della Risurrezione dove anche la morte non è più un fatto individuale che, invece, va vissuto dentro una comunità e in un’esperienza di incontro e di fraternità”.

“Andare in cimitero e pregare per i nostri morti – conclude -, portare un fiore e trovare altre persone con le quali magari piangere, fare due parole e consolarsi fanno parte di questa esperienza di cui ho parlato. Ecco perché la Chiesa invita anche a non tenere in casa le ceneri ma a portarle in cimitero, dove condividiamo il dolore e l’attesa nella preghiera per i nostri cari. È importante anche rielaborare il lutto e questo si può fare dentro un tempo preciso: se noi abbiamo le ceneri in casa, infatti, il lutto non finisce più. Il dolore rimarrà sempre ma questo è un aiuto che dobbiamo darci e offrirci reciprocamente”.

Monsignor Genovese ha voluto sottolineare che i funerali non sono il “panegirico dei morti” ma un momento in cui, con la preghiera, si chiede al Signore che accolga l’anima della persona che se ne è andata ricordando il bene che ha fatto e chiedendo il perdono per gli errori commessi in vita.

Una preghiera di consolazione per coloro che restano, nella certezza della Resurrezione e celebrando la vita e la Resurrezione di Gesù, il cui senso profondo, come ha ripetuto il parroco di Montebelluna, è dentro di noi “perché anche noi risorgeremo con Lui”.

In Italia la cremazione si sta sviluppando molto anche per iniziativa dei Comuni e i motivi a sostegno di questa pratica sono diversi: oltre alla religione, le ragioni possono essere igieniche, economiche o sociali.

Un primo motivo è legato alla mancanza di spazi nelle nostre città e paesi: questo rende difficile ampliare i cimiteri con il connesso aumentare dei costi per la collettività.

Inoltre, anche se non si può dire che l’incenerimento sia assolutamente ecologico (perché eseguirlo comporta comunque un dispendio di energia), l’aspetto ambientale non può essere trascurato.

I resti che derivano dalla cremazione sono più facili da custodire e un’urna occupa molto meno spazio di un feretro, senza in alcun modo togliere dignità al corpo cremato.

In alcune nazioni, che combattono ogni giorno con il problema della sovrappopolazione, la cremazione diventa addirittura una necessità per difendersi da epidemie e infezioni.

Nell’era moderna, la prima cremazione in Italia si verificò nel 1822 quando fu cremata la salma del poeta inglese Percy Bysshe Shelley, annegato nel golfo di La Spezia.

Il suo corpo fu bruciato nella spiaggia di Viareggio sopra una pira sparsa di balsami per volontà dell’amico Byron.

Il 23 gennaio 1874 morì il cavalier Alberto Keller, ricco industriale di Milano, noto per le sue opere filantropiche.

Nel testamento egli dispose che la sua salma venisse data alle fiamme e per questo scopo venne nominato esecutore testamentario il professor Polli che, d’accordo con il Clericetti, fece costruire un tempio crematorio, reso possibile sia dalla generosità finanziaria della famiglia Keller, sia dalla cessione gratuita del terreno nel Cimitero monumentale da parte del Comune di Milano.

Fu questo il primo tempio crematorio costruito in Italia (venne inaugurato il 22 febbraio 1876 per cremare la salma di Keller).

Nel 1876 nacque la Società milanese di cremazione e, successivamente, in diverse città italiane sorsero molte altre società con lo stesso scopo.

La “Società per la cremazione” di Milano svolse un’attiva propaganda in Italia e all’estero mediante bollettini, articoli su giornali politici e medici, conferenze, riunioni popolari e pubblicazioni tecniche.

Nel 1882 si svolse a Modena il primo congresso delle Società italiane per la cremazione.

Le 24 Società presenti approvarono l’istituzione e lo statuto della “Lega delle Società italiane per la cremazione”.

Nel luglio 1888 fu approvata la “Legge sull’Igiene e Sanità pubblica del Regno” (cosiddetta legge Crispi) la quale all’articolo 59 prescriveva: “La cremazione dei cadaveri umani deve essere fatta in crematori approvati dal medico provinciale. I Comuni dovranno sempre concedere gratuitamente l’area necessaria nei cimiteri per la costruzione di crematori. Le urne cinerarie, contenenti i residui della completa cremazione, possono essere collocate nei cimiteri o in cappelle o in templi appartenenti ad Enti morali riconosciuti dallo Stato od in colombari privati aventi destinazione stabile ed in modo da essere assicurate da ogni profanazione”.

L’articolo 59 divenne poi l’articolo 198 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Regio Decreto primo agosto 1907, numero 636) e da lì si aprì la strada per la diffusione di questa pratica in tutto il Belpaese.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Articoli correlati