Le istituzioni erano preoccupate che si riproponessero i disordini e le risse di sabato scorso a Treviso, ma il nutrito dispiegamento di forze dell’ordine, in divisa e in borghese, ha evitato le intemperanze dei ragazzi giunti in massa in centro storico.
Si erano dati appuntamento e sono arrivati a gruppi di decine di adolescenti dalle stazioni dei treni e dei bus, ma probabilmente non hanno potuto mettere in atto il loro piano: Polizia locale, Questura, Carabinieri e Guardia di finanza presidiavano ogni angolo del capoluogo. Quasi duecento ragazzi sono stati identificati dal primo pomeriggio alla sera per atteggiamenti o assembramenti nelle varie piazze della città. Ci sono stati momenti di tensione quando un gruppo di circa settanta adolescenti è arrivato in piazza Duomo (dove la settimana scorsa ragazzi si erano azzuffati), ma l’unico vero episodio critico non è stato correlato al fenomeno collettivo. Due ragazze minorenni residenti a Maserada si sono azzuffate in via Roma per motivi personali, per un’amicizia ormai finita; una delle due era accompagnata dai genitori. E’ intervenuta la Polizia.
“I numeri delle presenze erano molto simili alla settimana scorsa – spiega il comandante della Polizia locale Andrea Gallo -. Sono arrivati da fuori Comune, lo mostrano i flussi dalle stazioni. Le età vanno prevalentemente dai 14 ai 17 anni. Grazie alla strategia adottata, con presenze importanti di tutte le forze dell’ordine, gli spiriti più ribelli ci hanno ripensato prima di iniziare le scorribande. Ha influito anche avere annunciato le denunce per i protagonisti della scorsa settimana a quattro ragazzi e l’invito in comando per un’altra decina. È stato un deterrente importante”.
Il comandante Gallo si dice però amareggiato per un episodio avvenuto ieri pomeriggio e riconducibile alle risse fra i ragazzi, ma con protagonista un adulto: “Un genitore ha chiamato in centrale mettendo in dubbio l’operato degli agenti. Ha ipotizzato un abuso d’ufficio perché la figlia era stata identificata, accusando la Polizia locale di non aver fatto il proprio lavoro. Non ha nemmeno chiesto cosa la ragazza avesse fatto, ed era stata identificata per atteggiamenti esagitati”. Ma il genitore ha dato per scontato che l’errore fosse delle forze di polizia, non della figlia.
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