“Una norma che valorizza e riqualifica il pane fresco, grazie alla quale i panificatori saranno tutelati, così come le loro produzioni artigianali, definitivamente distinte da quelle precotte, surgelate ed estere”.
È il commento di Vendemiano Sartor, presidente Confartigianato imprese Marca Trevigiana, dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale del regolamento che disciplina le denominazioni di panificio, pane fresco e dell’adozione della dicitura “pane conservato”. Il regolamento (decreto interministeriale n.131), chiesto a gran voce dai panificatori veneti (che avevano già ottenuto una prima vittoria con l’approvazione della legge regionale del 2013) il cui iter è partito nella scorsa legislatura, entrato in vigore il 19 dicembre.
“In Veneto – spiega Sartor – negli ultimi 5 anni sono calati di 95 unità i veri “forni” artigiani. La qualità ci ha in parte salvaguardato ma, con il calo dei consumi ed il boom dell’import di prodotti semilavorati e congelati dall’Est Europa +79% solo nel 2017 e +433% dal 2012, senza una norma che distingua il pane fresco da quello precotto e i forni dalle rivendite rischiavamo di perdere una fetta importante del nostro patrimonio di sapienza nella panificazione”
Nel 2017 in Veneto (ed in Italia) è letteralmente esploso l’import di prodotti da forno e farinacei dall’Est Europa (Ungheria, Slovenia, Polonia Repubblica Ceca Slovacchia e Romania). Si è passati dai 9 milioni di euro del 2016 agli oltre 16 milioni del 2017. Un fenomeno che si lega, e spiega, al boom della produzione di “pane appena sfornato” da parte soprattutto della grande distribuzione.
Se l’import aumenta, il numero di panificatori artigiani veneti diminuisce (-2,6% rispetto a fine 2017). Oggi lavorano in Veneto 1.538 imprese, la maggior parte delle quali sono forni che producono pane fresco (1.449).
Venezia è la provincia con il numero maggiore di imprese di panificazione 329. Rovigo, Treviso e Verona sono le province dove si è concentrata maggiormente la riduzione di imprese negli ultimi anni (rispettivamente -9,4%, -9,1% e -10,3% rispetto al 2014). Il calo ha interessato anche le altre province venete, in misura inferiore.
La spesa media mensile delle famiglie nordestine per prodotti alimentari è tornata a crescere negli ultimi quattro anni, raggiungendo quota 413 euro. Pure quella specifica per pane e cereali è cresciuta del 3,3% passando da 75,4 euro a 77,9 euro. Dato questo però da imputare più alla crescita dei prezzi ed alla ricerca di pani più ricercati e quindi più costosi che ad un aumento delle quantità di prodotto. Nel Nordest si spendono oltre 24 milioni all’anno in prodotti alimentari e 4,6 milioni per pane e grissini.
In base alle nuove disposizioni, che portano un po’ di chiarezza nel settore della panificazione, il termine “panificio” indica l’impresa che, con i suoi impianti, svolge l’intero ciclo di produzione, dalla lavorazione delle materie prime fino alla cottura finale.
Da qui anche l’introduzione della definizione di “pane fresco”, specificandone il significato: il pane ottenuto secondo un processo di produzione continuo, senza che vi siano interruzioni per il congelamento o la surgelazione, fatta eccezione per il rallentamento del processo di lievitazione, senza l’utilizzo di additivi o altri trattamenti conservanti.
Per “pane conservato o a durabilità prolungata” si intende invece il pane non pre-imballato per il quale il processo produttivo prevede un metodo di conservazione ulteriore rispetto a quelli sottoposti agli obblighi informativi previsti dalla normativa nazionale e dell’Ue. Proprio la normativa Ue, in un’ottica di trasparenza nei confronti del consumatore, prevede che per questa tipologia di pane, nel momento della vendita, debba essere fornita un’informazione adeguata sul metodo di conservazione utilizzato nel processo produttivo, nonché sulle modalità per la sua conservazione e il consumo.
“Una norma che aspettavamo da tempo – conclude Sartor – perché la qualità da sola non basta quando è l’inganno a farla da padrone. Come accade nei centri commerciali che “spacciano” per pane fresco prodotti non solo precotti e congelati ma, di norma, neppure fatti nel nostro Paese ma confezionati nell’Est Europa. Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Romania. Un fenomeno che è esploso a tal punto che le importazioni da questi Paesi di prodotti a base di cereali sono cresciute del 433% negli ultimi sei anni. 13 milioni di euro in più che portano il giro d’affari a 16 milioni di euro pari al 10,2% delle importazioni venete del settore. Questa legge fa finalmente chiarezza e, sono certo, darà nuovo slancio alla produzione 100% made in Italy salvaguardando il lavoro e rafforzando una filiera portante per il nostro Paese”.
(Fonte: Confartigianato imprese Marca Trevigiana).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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