In quell’ansa del Piave le acque sono placide e ben ossigenate; il fondo, privo di alghe, è tappezzato da ciottoli levigati dalle correnti e banchi di sabbia bruna. Con un’attrezzatura rudimentale un ragazzino cattura, uno dopo l’altro, numerosi pesciolini dai riflessi argentati ingannati dal minuscolo amo celato nelle palline di pane.
Autoctona nell’Italia centrosettentrionale e diffusa nei fiumi e nei laghi del Meridione l’alborella (Alburnus alborella) è considerata la specie più abbondante del bacino del Po; in Veneto è conosciuta come àola, pesset, pessèta, pessùcola, ocèt, stirpa, sardèa da lac o pincia. È un pesce dalle abitudini gregarie che appartiene ai Ciprinidi, una famiglia della quale fanno parte quasi tremila specie d’acqua dolce fra le quali la carpa, il barbo, la tinca, e il cavedano.
Lunga 10 – 15 centimetri è riconoscibile per il dorso verdastro, i fianchi argentati e il ventre più chiaro. La sua dieta si basa su frammenti di piante acquatiche, vermi, crostacei e larve di insetti. A sua volta la pessèta rappresenta una fonte di cibo per le trote, i lucci, le bisce d’acqua, gli aironi e i cormorani.
Insidiata dai pescatori dilettanti, fino a qualche anno fa l’alborella rappresentava una preda di grande interesse anche per i professionisti che, nei maggiori bacini lacustri, la catturavano in quantità utilizzando reti e bilance. Fra gli attrezzi da pesca utilizzati tradizionalmente nel trevigiano vi era il bertovello, bartoél o cogòlo: una rete montata su anelli di dimensioni decrescenti che veniva fissata sul fondo del corso d’acqua. I pescatori più esperti mettevano a bagno la canapa delle reti nei gusci di noce per conferire alle maglie una colorazione tale da confondersi con il fango del fondale.
Seppure piuttosto resistente al deterioramento della qualità delle acque, la popolazione di alborelle è considerata in lento declino per una serie di minacce fra le quali spiccano l’introduzione di specie provenienti da altri areali (alloctone) con le quali le àole si ibridano o dalle quali vengono predate in abbondanza, come nel caso della sandra o lucioperca.
Le carni dell’alborella, piuttosto apprezzate, si prestano a diverse preparazioni gastronomiche: oltre alla classica frittura sono adatte al carpione, una ricetta che attraverso la marinatura in olio, aceto, cipolla e aromi protrae la conservabilità del pesce e ne esalta il gusto. In alcune zone del Veneto e della Lombardia un tempo si usava essiccare le alborelle o immergerle in salamoia per poi realizzare piatti della tradizione quali i bìgoi coe àole.
Dell’alborella vale infine la pena riportare una curiosità: nei secoli passati le sue squame argentee erano la base della cosiddetta essenza d’Oriente o perlifera, una sostanza impiegata in bigiotteria per trasformare banali sfere di vetro in “preziose perle naturali”. Un’ulteriore conferma di come l’alborella, dietro un aspetto apparentemente umile, nasconda un autentico e inaspettato valore.
(Foto: web).
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