L’inizio della vendemmia nell’Alta Marca Trevigiana si avvicina ma quest’anno, a differenza del passato, sarà molto difficile vedere gli ospiti della Caserma Serena di Casier impegnati a raccogliere “l’oro” delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene.
Dopo le numerose positività al Covid-19 riscontrate all’interno della struttura, che hanno portato la città di Treviso ad essere al centro dell’attenzione dei media nazionali per questo importante focolaio (vedi articolo), in pochi sarebbero disposti ad accettare gli ospiti della Serena per la vendemmia 2020.
Negli anni passati, queste persone salivano di buon mattino nei pulmini che partivano da Treviso per raggiungere le colline Unesco, pronti per una giornata di vendemmia.
Marocco, Nigeria, Bangladesh, Pakistan, Costa d’Avorio e Burkina Faso sono solo alcune delle nazioni di provenienza di questi lavoratori che, con un contratto regolare ottenuto grazie alla cooperativa che li seguiva, raccoglievano l’uva fino al tardo pomeriggio per poi ripartire alla volta di Treviso.
Tra i filari non si sentivano solo le classiche canzoni o barzellette della tradizione veneta ma anche racconti, filastrocche o musiche da ogni angolo del mondo.
C’era chi, per rispettare il suo credo religioso, rifiutava il panino con la soppressa ma anche chi cedeva alle lusinghe del collega che gli offriva un buon bicchiere di vino, molto apprezzato dopo una dura giornata di lavoro.
Si compiva quindi il “sacro rito della vendemmia” con una fisionomia nella quale i precursori veneti di questa tradizione non si sarebbero riconosciuti, ma che riflette i cambiamenti in corso in questa società sempre più multiculturale.
Ecco che, tra un grappolo d’uva e l’altro, c’è chi si faceva scappare qualche confessione, raccontando i dettagli del proprio arrivo in Italia tra mille ostacoli e peregrinazioni e svelando sogni e aspirazioni legati alla costruzione di un futuro migliore nel nostro Paese.
Non era comunque tutto “rosa e fiori” perché i problemi legati all’integrazione talvolta emergevano esacerbando i rapporti: lingue, abitudini, usi e costumi differenti potevano essere un problema e non venivano avvertiti sempre come un’opportunità di arricchimento personale.
In ogni caso, il motivo della presenza di queste persone nelle colline Patrimonio dell’Umanità era facilmente spiegabile: il bisogno di lavorare degli ospiti della Caserma Serena e la necessità di forza lavoro per gli imprenditori agricoli dell’Alta Marca Trevigiana.
Il rischio sanitario è ancora alto e, a prescindere dalla quarantena che sta interessando i positivi della Serena e i loro contatti, dopo tutto quello che è successo in pochi se la sentirebbero di richiamare questi lavoratori per la vendemmia.
Alcuni ragazzi che attualmente si trovano dentro la Caserma Serena, però, in quelle loro esperienze da vendemmiatori nelle colline del Prosecco avevano instaurato dei rapporti, scambiando i loro numeri di telefono con gli “amici” italiani.
C’è infatti chi, come A.G, giovane pakistano che aveva lavorato a Valdobbiadene due anni fa, ha scritto al suo amico italiano se quest’anno qualcuno sarebbe disposto a dargli da lavorare per le vendemmie.
La sua rassicurazione, “now many people are negative inside Serena”, non può certo bastare e quest’anno, tra le viti, forse non ci sarà la “Babele di culture” alla quale le ultime vendemmie ci avevano abituato.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
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