Partirono 200 tradotte, ne tornarono appena 17: è questa la storia della ritirata italiana dalla Russia del gennaio 1943. Le offese, le umiliazioni, il voluto oblio deciso dal regime fascista per non far conoscere la tragedia dell’Armir fanno parte di un’altra storia.
Non è questa quella che, ieri sera, hanno deciso di raccontare gli alpini di Segusino, la Sezione “Monte Grappa” e il coro alpino “Edelweiss” di Bassano con il dovuto rispetto per le Penne nere e i tanti altri soldati dell’8^ Armata che non fecero più ritorno in Italia dopo la leggendaria battaglia di Nikolajewka.
La palestra comunale di Segusino, davvero gremita, era commossa al termine dello spettacolo “Orma su orma… dal Don a Nikolajewka”: un fiume di racconti in diretta di quattro alpini di Bassano del Grappa e Vicenza che, assieme ad altre nove Penne Nere bresciane e bergamasche ed un civile, dal 20 al 26 gennaio 2020 hanno ripercorso la tragica ritirata di Russia della Divisione Tridentina (quella di Rigoni Stern), avvenuta proprio 77 anni prima in condizioni umane e climatiche al limite della sopportazione.
Partiti da Rossosch sono arrivati fino al sottopassaggio salvifico di Nikolajewka percorrendo in media – zaino da venti chili in spalla con tutto il necessario – 30 chilometri al giorno e ricevendo molti gesti di umanità straordinaria da russi sconosciuti che, vedendo i loro cappelli e le loro penne nere, li invitavano ad entrare in casa, donavano loro qualche cimelio o, semplicemente, offrivano caffè e tè caldi dopo ore di cammino in mezzo alla tormenta e al vento gelido.
“Non siamo stati degli eroi e non volevamo esserlo – ha affermato Giuseppe Rugolo, presidente della Sezione “Monte Grappa” di Bassano -, abbiamo fatto questa marcia dell’anima per ricordare la vittoria della dignità e dell’onore alpini, l’unica battaglia giusta di quella guerra, quella per tornare a casa. Gli alpini non sono tornati sconfitti, sono stati trattati da sconfitti quando sono arrivati al Brennero e sono stati chiusi dentro le poche tradotte trattandoli da pezzenti da nascondere, invece che da onorare”.
“Quei Caduti muoiono se vengono dimenticati – ha concluso Rugolo tra gli applausi del pubblico – e noi non lo faremo mai. Quello che abbiamo visto durante il nostro viaggio è rimasto impresso nel nostro cuore, ognuno ha portato a casa e ricevuto qualcosa. Un conto è leggere i libri ed ascoltare i ricordi dei pochi reduci disposti a raccontare, ben altra cosa camminarci dentro, provando di persona cosa hanno sofferto quei soldati in condizioni molto più proibitive delle nostre e con un equipaggiamento inadeguato”.
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