Scivoliamo lenti con un’imbarcazione lungo gli stretti canali che da Quarto d’Altino portano alla Venezia antica, quella di Torcello e Mazzorbo , dove il caos del turismo di massa lascia spazio alle barene tranquille, coperte dal caratteristico colore viola del limonio.
Lungo lo sguardo attento degli aironi, seguiamo la scia necessaria per non incagliarci, evitando le secche che, senza conoscere bene quelle acque, sarebbe impossibile riconoscere.
Attracchiamo a un molo dove Stefano e suo padre Albino stanno pescando tranquilli, sotto un cocente sole d’agosto: all’estremità del filo delle loro canne da pesca, come esca, ci sono intere cosce di pollo.
Un tempo, quegli stessi uomini, da quelle acque, con rispetto e riverenza per la laguna, sollevavano latterini, baicoli, avanotti, marsion, passarin, orade e bisati (in dialetto veneziano). Oggi, invece, nel secchio ci sono solo granchi blu.
Ne possono pescare quanti vogliono, sia con le canne che con le reti, ma guai a ributtarli in acqua: pena una multa salata. E di reti adatte, in tutti i punti vendita della zona, non ce ne sono più, perché ora lo “sport nazionale” della Laguna è pescare questo crostaceo.
A condurre la barca, che ci porterà alla scoperta del granchio blu e del suo rapporto con la Laguna di Venezia, è l’imprenditore valdobbiadenese Gianluca Bisol, che per la Venezia “originale” di Torcello, di Mazzorbo e di Burano mantiene da anni una passione sincera.
Stregato dalla storia di questi luoghi, anche per gli approfondimenti di carattere sociologico, antropologico ed economico che offrono, Gianluca, esperto di viticoltura, ha investito con coraggio su queste isole, intuendo quanto erano importanti sia per la salvaguardia della biosfera lagunare, sia per il mantenimento della storia antica della Venezia “delle fatiche”.
Con l’ottimismo che gli imprenditori – come dice lui – dovrebbero sempre avere per definizione, la sua missione è diventata quella di aiutare questo territorio a trasformare il granchio blu da problema a opportunità, per quanto sia possibile, valorizzando la Laguna, la sua gente e la sua economia circolare.
Il granchio usurpatore
Con una grandezza variabile dai 14 ai 27 centimetri di larghezza, ma arrivando a pesare anche oltre un chilo, il granchio blu è un superpredatore e una specie invasiva che negli ultimi quindici anni ha proliferato abbondantemente in tutta l’area del Mediterraneo e specialmente nel Mar Adriatico.
La sua caratteristica principale sta nella voracità, nella potenza delle chele, capaci di tagliare anche alcune reti da pesca e aprire le vongole, e nella capacità riproduttiva, che ci spiega meglio il professor Davide Tagliapietra, biologo marino del CNR che incontriamo quasi per caso davanti al ristorante Venissa.
“Volete la versione semplice o quella reale? – ci chiede il professor Tagliapietra, – Noi siamo un mondo che fa molti scambi e, dal momento che alcune specie hanno la capacità di adattarsi a vari ambienti, capita che quando le facciamo girare, attraverso la pesca o il trasporto da vivi, finiscano in un nuovo contesto. All’inizio sono quasi sempre invasive, ma non tutte riescono nell’adattarsi, alcune sono compatibili soltanto con il loro ambiente originale.
Altre, con maggior valenza ecologica, selezionano popolazioni locali con cui entrare in armonia. Bisognerebbe parlare con un esperto di demografia animale per comprendere meglio, ma spesso non sempre queste dinamiche hanno un andamento simile tra loro. Bisogna vedere se trovano cibo oppure, al contrario, validi antagonisti”.
Un possibile avversario
Nel caso del granchio blu, secondo Tagliapietra, l’unica specie che potrebbe contrastare il granchio potrebbe essere un’altra specie invasiva: la noce di mare, anche detto erroneamente “l’incubo dell’acqua grossa”. Nella logica del problema-scaccia-problema, questa creatura ghiotta di larve potrebbe tenere a bada la proliferazione del granchio blu.
Per quest’ultimo la riproduzione avviene in media tre volte all’anno (una volta sola invece per il granchio autoctono) e, in attesa di rilasciare le uova, la femmina custodisce il corallo sotto “un’ala” del carapace, che la differenzia dal maschio. Ogni esemplare può deporre centinaia di migliaia di uova.
L’opinione degli “ultimi” pescatori
Gianluca Bisol, che ormai conosce bene Torcello e la sua gente, ci porta in barca a conoscere anche un pescatore che potremmo definire leggendario, con gli occhi blu come quelle acque tiepide che la sua famiglia, i Rossi, navigano fin dai tempi della Serenissima: Domenico è stato intervistato dalle maggiori televisioni al mondo, ma nella sua umiltà di uomo di mare e “allevatore di moeche”, ci racconta volentieri il proprio punto di vista sul granchio blu, attraverso concetti che scopriamo essere strettamente legati alla sopravvivenza delle tradizioni della vera pesca di laguna.
“Il granchio blu divora tutte le altre specie e tende a distruggere anche le nasse e le reti. Attualmente non si può fare nulla se non creare delle strutture che possano lavorarlo. Certo, ci saranno delle catture di massa, ma non avendo gli stabilimenti adatti per la lavorazione, la crescita continuerà a essere esponenziale.
Per farvi capire, le ultime quattro nasse che ho posizionato ne ho raccolti cinquanta chili – spiega Domenico mentre aggiusta a mano una rete danneggiata, – Se tutto il mondo mangiasse granchi blu, va bene, potrebbe funzionare, ma per il consumo locale sono davvero troppi. L’unica soluzione possibile è creare delle filiere per lavorarlo ed esportarlo in quantità”.
Domenico e altri diciotto pescatori della Laguna Nord si dicono i sopravvissuti di una tradizione di pesca autentica che ormai è scomparsa: le reti su misura, per ciò che fanno loro, non esistono, bisogna farsele da soli, e per riuscire a imparare tutto quanto, secondo lui, occorre “salire su una barca a sei anni e non scendere più fino ai cinquanta”. Il problema del granchio blu renderebbe così ancora meno conveniente per i giovani buttarsi a capofitto in questo mestiere così antico e faticoso.
La risposta del Venissa
Per fortuna, tornando verso il Venissa, Gianluca Bisol ci riporta sulla strada dell’ottimismo e dell’intraprendenza: quell’oasi di tradizione, di enogastronomia e cultura che ha creato in queste isole, riscoprendo anche la Dorona, un vino autoctono di quel territorio, ci conferma che la speranza di trasformare il granchio blu in opportunità non è soltanto un miraggio.
Nelle cucine di uno dei ristoranti stellati più originali d’Italia, infatti, la giovane chef Chiara Pavan ci racconta della sua scelta di utilizzare le specie invasive che minano la biosfera lagunare, come ingredienti per un menù che, oltre a sorprendere i clienti per gusto ed estetica, li rende consapevoli e soddisfatti.
“La differenza tra il nostro granchio autoctono e questo sta nella dolcezza, che è più accentuata in questa varietà invasiva (e alla quale noi siamo meno abituati rispetto agli Americani). Potremmo dire che, come specie, non ci è andata male, in fondo – spiega Chiara, – specie considerando che nel Maine, dove il granchio blu è importantissimo per la loro economia di mare, stanno subendo un’invasione del nostro granchio verde che non sono capaci di lavorare, perché più piccolo e con meno polpa”.
“Il prezzo del granchio blu è calato a picco e questo crea grandi difficoltà alla pesca locale – continua mentre svuota una chela dalla polpa. – Per questo motivo ho deciso di acquistarne più possibile, per quanto io possa stoccarne, per dare una mano al nostro pescatore di fiducia. Poi l’obiettivo è quello di trasmettere questo messaggio ai clienti, con delle lavorazioni che vanno a valorizzare il prodotto e la sua originalità”.
In fondo, è di nuovo “colpa” nostra
Mentre impiatta e decora un Chawanmushi di granchio blu, uno dei piatti più particolari ed elaborati della preparazione, Chiara spiega come ancora una volta il cambiamento climatico e la pesca intensiva siano le cause nascoste di questi fenomeni: “Quindi alla fine, possiamo dire, che in qualche modo è colpa nostra?” le chiediamo. “È sempre colpa nostra. Non sempre si può parlare di colpa, ma certamente è l’effetto della nostra disattenzione nei confronti della bellezza che ci circonda”.
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