Quando si parla di vendemmia subito sembra naturale pensare alle colline del prosecco superiore di Conegliano Valdobbiadene, entrate da un anno e due mesi nella lista dei patrimonio Unesco.
Una vendemmia che in nessuna zona come in questa costa sudore e tanta fatica, difficoltà che ogni viticoltore deve affrontare non solo in questo periodo ma tutto il periodo dell’anno e che è definibile unica, in queste zone, praticata sulle famose rive eroiche, colline tremendamente ripide dove sorgono vitigni conservati e modellati dall’uomo nella storia.
Matteo Grotto è un ragazzo di 22 anni, residente a Guia di Valdobbiadene, con formazione all’Istituto enologico “Cerletti”, che lavora nelle rive eroiche, in particolare, e a suo modo di dire: “Non siamo eroi della Marvel ma del Valdobbiadene Docg“. Un lavoro che non comprende solo la vendemmia di questo periodo ma dura tutto l’anno, ovviamente la fase più bella di ogni lavoro è quella nella quale si raccolgono i frutti specialmente se costati tanta fatica”.
“È veramente una soddisfazione lavorare in queste colline, un sentimento che gratifica il lavoro di tutto l’anno – afferma Grotto -, penso si un lavoro tra i più faticosi che ci possano essere ma con la passione si può fare qualunque cosa”.
“La vendemmia in queste zone è tutt’altro che agevole, non si vendemmia a macchina come in pianura, un lavoro fatto completamente a mano scegliendo i grappoli migliori e scartando quelli che non vanno bene, per questo si arriva ad una qualità più elevata – continua -, un lavoro definibile eroico perché a noi viticoltori, in tutte le fasi di lavorazione in vigneto, ci capita spesso di lavorare su pendenze estreme, con una mano dobbiamo lavorare e con l’altra ci si regge per non scivolare giù“.
Lavorare nelle rive eroiche, si sa, non è un lavoro semplice come descrive Matteo: “Non ci si ferma mai, si lavora dalle 800-900 ore a ettaro durante l’anno, ovviamente tutto a mano, dalla vendemmia alla potatura per passare allo sfalcio dell’erba fino ai trattamenti”.
Una tradizione di lavoro e fatica come poche che si continua a tramandare di padre in figlio: “In queste zone, fortunatamente, ci sono tutti ragazzi volenterosi con voglia di fare – conclude Grotto -, se si vedono stranieri durante i lavori stagionali è appunto perché si ha bisogno di manodopera per pochi giorni all’anno”.
Una testimonianza, quella di Matteo Grotto, che abbiamo voluto raccontare perché i giovani sono il futuro di ogni cosa, per tramandare e conservare questo patrimonio fatto di terra, storia di uomini e della vite bisogna che l’input parta proprio da loro.
(Fonte: Francesco Pastro © Qdpnews.it).
(Foto: per gentile concessione di Matteo Grotto).
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