“Dobbiamo guardare alla storia del Valdobbiadene Docg se vogliamo avere un futuro”: questa frase non rappresenta solo un mero slogan per Siro Bortolin, padre degli attuali titolari della cantina “Colesel Spumanti” di Santo Stefano di Valdobbiadene, Antonio e Vlady, ma un impegno da portare avanti ogni giorno per continuare a far crescere questo settore e, di conseguenza, il territorio delle Colline Patrimonio dell’Umanità.
Da alcuni anni la “Colesel Spumanti” ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle tradizioni vitivinicole di un tempo, per offrire ai propri clienti non solo un ottimo prodotto ma anche delle emozioni legate al racconto di un territorio che evolve con la consapevolezza delle sue radici.
Nessun imbarazzo per le “origini contadine” di Valdobbiadene e della sua gente, che invece vengono riscoperte per riappropriarsi di un’identità da trasmettere anche ai visitatori delle colline Unesco.
“Se un giorno una turista giapponese ha preso da sola un taxi da Venezia per venire a vedere le nostre colline vuol dire che abbiamo qualcosa di unico e di irripetibile – racconta Siro – Nella nostra azienda cerchiamo di avere i vigneti come una volta. Abbiamo sostituito i pali in cemento delle viti con i pali in legno di castagno perché è molto resistente alle intemperie. I vigneti hanno una loro disposizione naturale che segue le pendenze e le distanze non sono omogenee anche tra vite e vite”.
“Li vogliamo riadattare al nostro territorio – continua – Questo comporta sicuramente più lavoro però, vedere il legno al posto di un palo di cemento, è tutta un’altra cosa. Dobbiamo orientarci sempre di più verso un concetto di sostenibilità assoluta ma questo implica un impegno continuo legato allo studio dei prodotti da utilizzare e ai processi da attuare. Non so quanto le nuove generazioni abbiano compreso questo passaggio: dobbiamo entrare nell’ottica che bisogna difendere e preservare quello che abbiamo”.
Per la Colesel Spumanti il territorio delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene potrà crescere ancora di più se tutti i viticoltori della Docg decideranno di impegnarsi insieme parlando finalmente “un’unica lingua”.
“I cambiamenti nel nostro territorio saranno possibili solo se tutti decideremo di andare verso la stessa direzione – aggiunge – È necessario tornare al vigneto di una volta con la sua biodiversità all’interno. In questo modo si andrà alla ricerca delle diverse tipologie per non avere mai tutti i vigneti con lo stesso clone di Prosecco ma tanti cloni al loro interno proprio come avveniva una volta. Allora la vite potrà darti di più da una parte e di meno dall’altra, fornendo delle punte di maggiore qualità in certe situazioni. Per qualità intendiamo le proprietà organolettiche del prodotto finale”.
Siro crede veramente nell’importanza di guardare al passato cercando di fare propri gli insegnamenti degli avi, che hanno permesso ai viticoltori di oggi di vivere in un’area dove la natura non è nemica dell’uomo che, invece, ha saputo trarre il meglio dalla stessa.
“A nostro giudizio il Valdobbiadene Docg è uno dei grandi spumanti del mondo che non deve aver paura di andare a scontrarsi con lo Champagne, con il Metodo Classico o con qualsiasi altra cosa – conclude Siro -, però deve essere fatto rispettando determinati concetti. La produzione deve essere giusta per fare un certo quantitativo di prodotto senza puntare ad ogni costo sulla quantità. Se tutti i viticoltori di questo territorio parlassero la stessa lingua la nostra forza sarebbe ben diversa: non serve dire ‘io sono più bravo’ perché se lo sei veramente vieni fuori lo stesso”.
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