Quasi una vera e propria missione, che richiede coraggio, rigore scientifico e anche un po’ di sana incoscienza, quella dello storico Luca Nardi che con il suo nuovo libro, “Ombre e luci, parole e silenzi. Valdobbiadene e la Sinistra Piave tra il gennaio 1944 e il maggio 1945“, ha deciso di disseppellire una pagina di storia che ancora oggi, dopo più di 70 anni, non è stata digerita e genera sofferenza e rancore.
Luca Nardi, insegnante di materie letterarie, storico e collaboratore di Qdpnews.it, è nato a Valdobbiadene nel 1990. Dopo la maturità scientifica ha seguito la sua vocazione di sempre laureandosi in scienze storiche all’università di Padova. Co-autore, insieme a Giancarlo Follador, del libro “Quando senza polenta si moriva di fame. Il diario di Caterina Arrigoni (31 ottobre 1917- 10 novembre 1918)“, si interessa di storia locale con preziosi contributi che sono stati uno spunto importante per numerosi articoli.
Nella sua prima intervista dopo la pubblicazione del libro, Nardi ci ha aiutato a capire cosa lo ha spinto ad interessarsi e ad approfondire delle vicende storiche così delicate per tutto il territorio dell’Alta Marca Trevigiana, ma non solo.
QDP.: Perché, dopo l’interessamento alla situazione di Valdobbiadene durante il primo conflitto mondiale, ha deciso di approfondire, con questo nuovo libro, il periodo che va dal gennaio 1944 al maggio 1945?
L.N.: “In realtà, questa ricerca sulla Seconda guerra mondiale nasce prima della pubblicazione del diario di Caterina Arrigoni (giugno 2016). Il libro “Ombre e luci” è infatti figlio della mia tesi di laurea magistrale, discussa a Padova il 15 febbraio 2016. Il mio interesse di storico non riguarda solo la prima guerra mondiale ma tutto il Novecento nel territorio dell’Alta Marca Trevigiana. Ho voluto dedicare la mia tesi di laurea ai miei nonni paterni. Loro, come tante altre persone di Valdobbiadene, non hanno mai voluto parlare di queste vicende pur avendo assistito, essendo giunti sul posto poco tempo dopo, alla famosa “strage di Saccol”. Pian piano, durante la mia ricerca, è emerso che tanta gente era critica verso la Resistenza e verso i partigiani locali mentre nei confronti di Toni Adami (nella foto in basso), di cui dopo vi parlerò, c’era un altro atteggiamento. Dovevo capire perché ci fosse tutto questo astio, da me percepito in modo pesante in diverse interviste, verso la Resistenza.”
QDP.: Il titolo è molto particolare. Ci spiega come nasce l’idea di dare questo titolo al suo libro?
L.N.: “Già durante i mesi in cui stavo lavorando alla mia tesi di laurea – prosegue lo storico Nardi – mi sono reso conto che le ombre e i silenzi, su ciò che è realmente successo in quegli anni difficili, erano tantissimi. Non se ne voleva parlare e tante persone hanno voluto dimenticare e, soprattutto nel primo periodo a ridosso degli eventi, sono state costrette a farlo. Grazie alle parole dei testimoni, e con l’ausilio di numerosi documenti, ho cercato di “illuminare i silenzi”.
QDP.: Ci aiuta a capire la situazione a Valdobbiadene in quei mesi? Chi erano i protagonisti, da una parte e dall’altra, di quel periodo?
L.N.: “Dopo l’8 settembre del 1943, data del proclama dell’armistizio firmato dal Governo Badoglio con gli Alleati, le zone che vanno da Segusino a Vittorio Veneto, allora facenti parte della Repubblica Sociale Italiana, erano territori di confine. Da una parte, infatti, si trovavano le due zone di operazioni militari controllate direttamente dai tedeschi mentre dall’altra, come già specificato, i territori della Repubblica Sociale Italiana controllati dai fascisti“.
“I tedeschi avevano il loro comando locale a Covolo di Pederobba, in villa Coletti. Tra l’ottobre 1944 e il gennaio 1945 al comando di Covolo furono affiancati i presidi della Wehrmacht di Valdobbiadene (in villa dei Lauri) e delle Ss a San Pietro di Barbozza (ex municipio, sede della scuola elementare) e Guia di Valdobbiadene (al primo piano dell’asilo infantile). A San Vito di Valdobbiadene, presso Villa Barbon, dal novembre 1944 s’insediò il comando dell’Organizzazione Todt”.
“Per quanto riguarda i fascisti, invece, a Valdobbiadene si trovavano la Gnr (Guardia Nazionale Repubblicana) e la Confederazione nazionale fascista dei lavoratori dell’agricoltura, il sindacato fascista dei lavoratori agricoli. Più tardi, nell’ottobre del 1944, sarebbero arrivati il battaglione Paracadutisti della Decima Mas e le Brigate Nere”.
“I partigiani locali avevano due figure di riferimento che sono passate alla storia: Antonio Giuseppe Adami (Toni) e il comandante partigiano Marino Zanella (nella foto in basso), conosciuto come “Amedeo”. La brigata partigiana “Mazzini” aveva la sua sede principale tra Valdobbiadene e Miane, nel comprensorio del Cesen. Adami era un socialista di stampo cattolico e un uomo di grande cultura molto legato alla sua terra. Antifascista convinto, non aveva mai estrinsecato la sua convinzione politica in un’azione violenta con l’uso di armi”.
“Il comandante partigiano Amedeo, invece, era un antifascista operativo. Aderiva alla corrente politica del comunismo e aveva partecipato come graduato alla guerra civile spagnola. Esiliato da Mussolini, insieme ad altri antifascisti di spessore, a Ventotene, è stato un ricercato politico che ha conosciuto personalità di spicco come Luigi Longo, Pietro Nenni, Sandro Pertini e Palmiro Togliatti. Marino Zanella, il partigiano “Amedeo”, aveva il compito di ricostruire la sezione trevigiana del Pci (Partito comunista italiano) e di formare le prime bande partigiane comuniste. Toni Adami, invece, si circondò di un variegato gruppo di persone che si opponevano ai nazifascisti (militari italiani, giovani renitenti alla leva locali, ma anche prigionieri dei tedeschi)”.
QDP.: Per questo lavoro si è confrontato con tanti testimoni. Ha incontrato delle difficoltà? Quali emozioni prevalevano durante le interviste?
L.N.: “All’inizio non è stato facile ottenere delle informazioni. Ho ricevuto molti no e numerosi ostacoli hanno minato il mio lavoro. Credo che sia stata una ricerca coraggiosa su un periodo lungo sul quale, come dice il titolo del mio libro, c’erano fin troppe ombre. Non ho voluto soffermarmi su una sola vicenda o su un solo periodo, ma ho cercato di dare una visione d’insieme che potesse aiutare i lettori a capire meglio tutta la storia”.
“La raccolta delle testimonianze è stata sicuramente la parte più emozionante di tutto il lavoro. Per quasi un anno, dal dicembre del 2014 al novembre del 2015, ho intervistato circa novanta persone fra donne e uomini. Alcuni di loro, purtroppo, non ci sono più. Ho confrontato la documentazione con ciò che è stato tramandato e interpretato oralmente per quasi settant’anni. Dai racconti degli intervistati ho compreso che c’era ancora un forte rancore verso la Resistenza per la resa dei conti partigiana di fine guerra. Tanta anche la rabbia per alcuni soprusi, per i furti e per le persone, ritenute a torto o a ragione delle spie, che sono state uccise. Negli anni era emersa la difficoltà di parlare per la comprensibile paura e perché per tanto tempo nessuno ne aveva discusso apertamente. Alcuni mi hanno detto: perché tiri fuori queste vicende dopo tutti questi anni?“.
“In tanti, quasi tutti, mi hanno parlato della misteriosa morte di Toni Adami. C’è chi ha affermato che sia stato ucciso dagli stessi partigiani perché contrario agli atti di violenza contro la popolazione e agli ingiusti ladrocini nelle case. Questo, per lui, non aveva nessun legame con gli ideali della Resistenza ma si trattava di atti il cui unico fine era l’arricchimento personale. Sicuramente, i suoi ideali avevano poco a che spartire con quelli di alcuni leader comunisti come Mostacetti, il vicecomandante di brigata Beniamino Rossetto, del battaglione Bose”.
“Ho optato per alcune interviste generiche sulla guerra mentre altre sono state interviste specifiche ai familiari delle persone uccise, tra il primo maggio 1945 e il 7 maggio 1945, a liberazione di Valdobbiadene già avvenuta (30 aprile 1945), in cimitero a Miane, al Bosco Rondola a Segusino, al Bus de croda a Saccol di Valdobbiadene e a Combai di Miane nella Grande Spinoncia“.
QDP.: Qual è l’obiettivo del suo libro? Quale messaggio vuole trasmettere e che sogno, legato a questa pubblicazione, ha nel cassetto?
L.N.: “Con questa ricerca, che ho cercato di rendere più oggettiva possibile grazie alla quantità di documenti e testimonianze che ho analizzato, mi piacerebbe provare a porre fine all’ostilità tra chi non vuole che sia raccontato più nulla e chi ha esagerato nel raccontare alcuni momenti della guerra. Le violenze sono avvenute da entrambe le parti perché la guerra è guerra e non guarda in faccia nessuno. Da insegnante vorrei che i giovani si avvicinassero a quest’opera che spero possa dare loro la possibilità di conoscere la storia locale con le sue ombre e le sue luci. Mi piacerebbe che tutti parlassero di queste vicende basandosi sulle fonti e confrontando onestamente le testimonianze”.
QDP.: Nel libro ha citato lo scrittore britannico Aldous Leonard Huxley e la sua frase: “I fatti non cessano di esistere se vengono ignorati”. Come si lega alle storie presenti nel libro?
L.N.: “Negli occhi delle persone e nei documenti visionati emerge una forte sofferenza che il silenzio non può cancellare. Si può dire di aver dimenticato ma così, in realtà, non è. Era rischioso raccontare questa storia, lo sapevo fin dall’inizio. Era comunque doveroso tentare perché sono convinto che le donne e gli uomini che vissero quegli anni, indipendentemente dalle loro scelte politiche, abbiano il diritto di essere ricordati senza più zone d’ombra, così che la luce delle parole possa illuminare i silenzi imposti dall’indifferenza, dalla paura e dal voluto oblio”.
“Ringrazio tutta la mia famiglia, chi ha risposto alle mie domande, mettendosi spesso in gioco, la Regione Veneto, l’assessore regionale all’istruzione, Elena Donazzan, e le quattro amministrazioni comunali che hanno sostenuto questo progetto”.
Nello specifico ringrazio Gloria Paulon, sindaco di Segusino, Luciano Fregonese, sindaco di Valdobbiadene, Albino Cordiali, sindaco di Vidor e l’onorevole Angela Colmellere, sindaco di Miane. Non posso dimenticare Tommaso Razzolini, assessore di Valdobbiadene al turismo, alle associazioni e allo sport, Giorgio Bellini e Pietro Giorgio Davì che mi hanno convinto a rendere nota al pubblico questa ricerca”.
(Intervista a cura di Andrea Berton © Qdpnews.it).
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