Le grida di guerra sono un mezzo efficace per spronare i combattenti, intimorire l’avversario e farsi riconoscere sul campo di battaglia. Signa infirre! (Avanti le insegne!), Hodie rudit leo! (Oggi ruggisce il leone!), Omnia hostes mori debent! (Tutti i nemici devono morire!) urlavano i legionari romani. Le truppe sabaude attaccavano al grido Avanti Savoia!, Tora, tora, tora! (Tigre, tigre, tigre!) era il motto dei kamikaze giapponesi; e se i rivoluzionari zapatisti serravano i ranghi al grido ¡Tyerra y Libertad! (Terra e Libertà!), Marzocco! (il leone simbolo del potere popolare) annunciava le cariche della cavalleria guelfa del Granducato di Toscana.
Il primato dell’originalità nella scelta delle grida belliche spetta tuttavia a Bartolomeo Colleoni (1395? – 1475), capitano di ventura bergamasco che servì con i suoi mercenari il Regno di Napoli, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano. Rampollo di una facoltosa famiglia di origine longobarda, orgoglioso discendente di Gisalberto detto il Colione, Bartolomeo intraprese il mestiere delle armi a soli quattordici anni senza mai mostrare alcun imbarazzo per il suo singolare patronimico; anzi non perse occasione per ostentare i gioielli di famiglia, un blasone con tre testicoli su sfondo rosso e argento, che fece cesellare, scolpire e che giunse addirittura a trasformare in un temuto grido di battaglia: Coglia! Coglia! (Coglioni! Coglioni!).


Il tentativo di alcuni biografi di prendere le distanze da questo imbarazzante, seppur virilissimo, simbolo si rivelarono inutili: Colleoni era un cognome che nulla aveva a che fare con locuzioni del tipo cum lione o caput lionis bensì rimandava a quella parte anatomica che il valoroso guerriero non rinunciò mai a esibire nelle insegne gentilizie affiancata, ma mai sostituita, da emblemi araldici decisamente più anonimi come i gigli angioini o le fasce borgognone. Se l’interpretazione dell’emblema da alcuni proposta (un cuore rovesciato) appare puerile, resta invece una mera leggenda l’ipotesi che il condottiero fosse affetto da poliorchidismo, cioè, avesse tre gonadi visto che lo stemma nobiliare risaliva ai suoi avi.
Considerato uno dei più abili condottieri del suo tempo, campione nel combattimento in montagna come ebbe a dimostrare nei difficili teatri della Valtellina e della Valcamonica, Bartolomeo Colleoni non riuscì mai a sconfiggere la diffidenza del senato veneziano che, pur ricompensando profumatamente i suoi servigi, lo amareggiò negandogli la nomina a Capitano Generale attribuita al rivale Gianfrancesco Gonzaga. Fisico imponente, esperto nel manovrare le artiglierie, aduso a condividere le fatiche dei suoi uomini marciando al loro fianco, il Colleoni era l’archetipo del condottiero. Ciò nonostante, per la Serenissima, restìa a celebrare i mercenari, egli rimase a lungo una figura di secondo piano, da trattare con il dovuto rispetto, ma altrettanta diffidenza.
Dopo una vita trascorsa sui campi di battaglia, oramai anziano e in precarie condizioni di salute il Colleoni, come scrisse D’Annunzio, smise l’elmo guerresco per un cappuccio più consono al saggio e al filantropo. Ritiratosi nel bergamasco castello di Malpaga, prostrato dalla perdita della moglie Tisbe e della figlia Medea, si spese per la realizzazione di opere benefiche e di pubblica utilità specie nel settore della regimazione delle acque.
Colpito da un’epatite, si spense a Malpaga nei primi di novembre del 1475. La sua seconda patria, Venezia, gli concesse l’onore di un sontuoso monumento equestre progettato da Andrea Verrocchio, ma la statua non fu collocata in piazza San Marco come avrebbe voluto il condottiero, bensì in una posizione più defilata, campo SS. Giovanni e Paolo (San Zanipolo): Colleoni aveva certamente molti meriti, ma restava pur sempre un forestiero. Come se non bastasse il governo della Serenissima procedette implacabile a revocare benefici e privilegi che gli erano stati accordati quando era in vita.
Il suo imponente scheletro, era alto quasi due metri, fu rinvenuto alla fine degli anni Sessanta, dopo lunghe ricerche, nel mausoleo della basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo. La salma giaceva in un loculo nascosto, protetta da una lastra di piombo, assieme al corredo militare assai deteriorato: il bastone di comando, la spada e gli speroni. Un corredo tutto sommato di poco valore visto il rango del proprietario. Perché? Pare che un misterioso emissario veneziano, presente alle esequie, abbia avuto l’ardire di collocare nel sarcofago degli oggetti di poco valore e appropriarsi degli originali…
(Autore: Marcello Marzani)
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